14 luglio 2017 13:17

Esiste un solo villaggio a Cipro dove grecociprioti e turcociprioti vivono fianco a fianco. Si chiama Pyla e l’unico motivo per cui i due gruppi etnici continuano a viverci insieme è che si trova nella zona cuscinetto delle Nazioni Unite che separa la Repubblica di Cipro dalla Repubblica turca di Cipro Nord (Trnc). Se le Nazioni Unite si ritirassero, le cose si metterebbero davvero male.

Potrebbe succedere. L’Unficyp (la forza di peacekeeping delle Nazioni Unite a Cipro) ha 53 anni, e la pazienza sta finendo. L’ex segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon aveva avvertito nel 2011 che “il protrarsi della presenza dell’Unficyp sull’isola non va dato per scontato”. L’attuale segretario generale, António Guterres, ha dichiarato esplicitamente che non si può andare avanti così per sempre.

È possibile però che stesse bluffando. Lo ha infatti dichiarato durante l’ennesima conferenza per la riunificazione dell’isola, che si è aperta il 28 giugno nella località turistica svizzera di Crans-Montana. Tutti pensavano che le possibilità di successo fossero piuttosto alte, ma adesso che si è consumato il fallimento, scopriremo se Guterres era davvero convinto delle sue parole o meno.

La conferenza avrebbe dovuto concludersi con successo, poiché il presidente Nicos Anastasiades della Repubblica di Cipro e il presidente Mustafa Akıncı della Trnc erano molto vicini a un accordo e sembrava che le due comunità dell’isola fossero entrambe disposte a votare a favore (sarebbe stato necessario un referendum da entrambe le parti per ratificare un qualsiasi accordo). Ma le trattative sono naufragate in vista del traguardo.

Una storia coloniale
Quando Cipro ottenne l’indipendenza dall’impero britannico, nel 1960, tre paesi furono incaricati di farsi garanti della costituzione che organizzava la divisione dei poteri tra grecociprioti e turcociprioti: il Regno Unito e le due “madrepatria”, Turchia e Grecia. Questi garanti avevano il diritto e il dovere d’intervenire qualora i termini dell’accordo fossero stati violati.

L’accordo sulla condivisione dei poteri è naufragato nel 1963, soprattuto perché tanti grecociprioti volevano riunirsi alla Grecia. Gli appartenenti alla minoranza turcocipriota sono fuggiti, raggruppandosi in decine di enclave isolate, e nel 1964 le Nazioni Unite hanno inviato la missione dell’Unficyp per proteggerli. Ma nessuno dei paesi garanti è intervenuto.

Dieci anni più tardi, nel 1974, i colonnelli al potere ad Atene organizzarono un sanguinoso colpo di stato a Cipro che rovesciò il governo eletto e instaurò un regime deciso a riunificare l’isola con la Grecia. Quando il Regno Unito, l’altro garante, rifiutò di reagire al colpo di stato (pur avendo delle basi militari sull’isola), la Turchia inviò le sue truppe.

La resistenza grecocipriota cedette in pochi giorni e la Turchia occupò più di un terzo dell’isola. Tutti i grecociprioti che vivevano nella zona occupata dai turchi fuggirono a sud. Tutti i turcociprioti che si trovavano nel resto dell’isola invece abbandonarono le loro comunità assediate, fuggendo verso nord. Ed è così che la situazione è rimasta negli ultimi 43 anni, con l’Unficyp che pattuglia la zona cuscinetto tra la Repubblica di Cipro e la Trnc.

I grecociprioti erano pronti a stringere un accordo probabilmente per ragioni economiche

Finalmente, quattro anni fa, entrambe le parti dell’isola sono riuscite ad avere nello stesso momento due governi favorevoli alla riunificazione. Tra i due c’era un ampio consenso sull’idea di repubblica federale con ampie autonomie per le due comunità. È per questo che la conferenza si era aperta in Svizzera lo scorso mese in un clima di grandi speranze.

Perché i grecociprioti erano finalmente pronti a stringere un accordo (l’ultima volta che era stato proposto un accordo più o meno simile, nel 2004, i turcociprioti avevano votato a favore con una proporzione di due a uno, mentre i grecociprioti l’avevano respinto con una proporzione di tre a uno)? Il motivo è probabilmente economico.

Erdoğan gioca la carta nazionalistica di Cipro
Nei fondali marini al largo della costa cipriota è stata trovata una riserva di gas naturale del valore di circa cinquanta miliardi di dollari. Ma la riserva non potrà essere sfruttata finché non saranno risolte le potenziali dispute sulla proprietà dei fondali. La Turchia non avanza alcuna pretesa, ma potrebbe sicuramente fornire un consistente sostegno se la Repubblica turca di Cipro Nord chiedesse una parte dei profitti.

È stata la Turchia ad affossare le speranze di un accordo definitivo in Svizzera alla fine di giugno. Negli anni scorsi non aveva mai posto ostacoli a un accordo: i precedenti tentativi di raggiungerne uno definitivo erano infatti naufragati per altri motivi. Ma è una Turchia diversa oggi, guidata da un mini-Putin, di nome Recep Tayyip Erdoğan.

Erdoğan esercita un potere assoluto solo in virtù del referendum dell’aprile scorso, vinto con un margine di appena l’1 per cento dei voti.

Il 49 per cento dei turchi che ha votato no all’aumento dei poteri di Erdoğan vede in lui, piuttosto giustamente, la fine di una vera democrazia in Turchia. Erdoğan ha quindi bisogno di prenderli in contropiede e di mantenere alta la mobilitazione dei suoi sostenitori e di infiammare l’opinione pubblica agitando varie cause nazionalistiche. Oggi è il turno di Cipro.

La Turchia si è rifiutata di rinunciare al suo diritto d’intervenire sull’isola ai sensi dell’accordo del 1960, o di ritirare i suoi 35mila soldati che mantiene di stanza nella Trnc. Per questo l’accordo è naufragato. E servirà molto tempo prima che qualcuno provi a raggiungerne un altro. Se mai qualcuno ci proverà.

Ma, date le circostanze, è comunque improbabile che le Nazioni Unite richiamino il loro contingente di peacekeeping.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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