06 novembre 2017 17:17

Questa settimana Donald Trump incontra i leader di Giappone, Corea del Sud e Cina. A dominare le tre conversazioni ci sarà lo stesso argomento: la Corea del Nord. Il primo ministro giapponese Shinzo Abe e il presidente sudcoreano Moon Jae-in cercheranno dagli Stati Uniti rassicurazioni sul fatto che questi li proteggeranno dalle armi nucleari nordcoreane, ma a Pechino Trump si presenterà con molte richieste d’aiuto.

Il presidente degli Stati Uniti chiederà al presidente Xi Jinping di fare qualcosa, qualunque cosa, affinché la Corea del Nord smetta di testare armi nucleari e missili balistici intercontinentali. Trump si è messo da solo in una situazione scomoda, ma anche lui sa (o perlomeno gliel’hanno detto varie volte i suoi consulenti militari) che non esiste alcuna soluzione militare a questo problema che non preveda una guerra di ampie dimensioni, e probabilmente una guerra nucleare in loco.

Trump ha promesso che la Corea del Nord non sarà mai in grado di colpire gli Stati Uniti con armi nucleari, ma la realtà è che manca poco (o forse siamo già arrivati) al punto in cui questo sarà possibile. Gli Stati Uniti non hanno alcun potere nei confronti della Corea del Nord, a parte la minaccia di una guerra, e hanno quindi bisogno che sia la Cina a cavarli dagli impicci.

Aiuti minori
La Cina può infatti far leva su molti elementi: il 90 per cento delle importazioni nordcoreane proviene dalla Cina e il grosso dei suoi scambi commerciali esteri è costituito dalle esportazioni verso la Cina. Pechino potrebbe far morire la popolazione nordcoreana di fame e freddo se decidesse di farlo, ma ciò non accadrà.

Xi Jinping potrebbe dare un paio di aiuti minori a Donald Trump, vietando per esempio la vendita di asciugacapelli e seghe elettriche, ma non farà niente che minacci davvero la sopravvivenza del regime nordcoreano. Eppure sa che sarebbe questo il modo di sbarazzarsi di Kim Jong-un, dal momento che il leader della Corea del Nord considera le sue armi nucleari e i suoi missili balistici intercontinentali fondamentali alla sopravvivenza del regime.

Xi Jinping non ama Kim, e di sicuro non apprezza i test nucleari e missilistici che questi porta avanti. Kim ha anche effettuato delle purghe tra gli alti dirigenti della gerarchia nordcoreana che erano più vicini alla Cina, eppure Pechino continua ad accettare questo comportamento. Perché?

Quel che davvero spaventa gli uomini al potere in Cina è assistere al crollo di un altro regime comunista

Perché la sopravvivenza del regime comunista in Corea del Nord è considerata fondamentale a Pechino: non per la Cina come paese, ma per la sopravvivenza del regime comunista nel paese. Può suonare strano, ma occorre guardare alla cosa dal punto di vista degli attuali dirigenti cinesi.

Quasi tutti i partiti comunisti al potere nel mondo sono stati rovesciati nell’ultimo quarto di secolo. Rimangono, a parte il Partito comunista cinese (Pcc), alcuni paesi sparsi: Corea del Nord, Cuba, Vietnam e Laos. E la principale priorità del Pcc non è “rendere di nuovo grande la Cina”, creare una grande marina o che altro, bensì proteggere il potere del partito.

I dirigenti cinesi sono interessati alla vicenda, ma osservano ogni cosa attraverso il prisma della domanda “rafforzerà il potere del partito?”. Da questo punto di vista il crollo del regime comunista nordcoreano è una minaccia potenzialmente letale anche per il Pcc.

Di spalle al precipizio
Le ragioni solitamente avanzate per spiegare la determinazione con cui Pechino si sforza di mantenere in vita il regime nordcoreano, semplicemente, non hanno senso. I comunisti cinesi non sono davvero preoccupati dell’eventuale arrivo di un’ondata di profughi nordcoreani oltre il confine con la Manciuria se il loro regime dovesse cadere. La maggior parte di loro tornerebbe a casa una volta che la situazione si fosse calmata, diventando felicemente cittadini di una Corea riunita.

Pechino non è nemmeno spaventata all’idea che una Corea riunita riporti le truppe statunitensi al confine con la Cina. È anzi più probabile che le truppe statunitensi lascino il territorio di un’eventuale Corea unita. Dopo tutto, nessuno in Corea si preoccupa di un attacco cinese, quindi perché mai le truppe statunitensi dovrebbero restare?

Quel che davvero spaventa gli uomini al potere in Cina è assistere al crollo di un altro regime comunista. Hanno guardato con orrore il crollo del regime sovietico tra il 1989 e il 1991, e danno la colpa della cosa alla debolezza e alla propensione al compromesso del Partito comunista sovietico.

Nonostante il loro potere e i traguardi raggiunti, si sentono di spalle sul bordo di un precipizio. Basta un passo indietro, un segno di debolezza e potrebbero trovarsi in caduta libera. Lasciare che Kim Jong-un crolli, per quanto non lo amino, potrebbe scatenare un disastro nel loro stesso paese.

Non è quello che accadrebbe, probabilmente. Ma è così che il gruppo dominante del Partito comunista cinese vede le cose dai tempi del crollo dell’Unione Sovietica. Qualunque sarà il prezzo da pagare, eviteranno di essere troppo duri con Kim. E gli stati maggiori riuniti degli Stati Uniti hanno appena dichiarato al congresso che non c’è alcuna possibilità di distruggere le armi nucleari della Corea del Nord senza un’invasione terrestre a pieno titolo.

Conclusione: poco importa quel che dicono i protagonisti di oggi. Alla fine la Corea del Nord riuscirà a conservare il suo piccolo deterrente nucleare, ma dovrà accettare di mantenerlo abbastanza piccolo da non poter effettivamente lanciare il primo attacco. Non che sia lontanamente in grado di dotarsi di un apparato sufficiente per farlo, peraltro.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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