29 gennaio 2019 10:48

Evidentemente la decisione di proporre Juan Guaidó come presidente alternativo a Nicolás Maduro in Venezuela non è stata presa a Caracas, ma a Washington. La rapidità con cui gli alleati degli Stati Uniti nel continente americano e in Europa occidentale hanno riconosciuto l’autoproclamazione di Guaidó dello scorso 23 gennaio non sarebbe mai stata possibile senza un coordinamento precedente e una forte pressione da parte dell’amministrazione Trump.

Il fatto che i governi di destra nei paesi dell’America Latina, dalla Colombia al Brasile, si siano accodati al tentativo di Trump di rovesciare un governo di sinistra non è sorprendente. Il sostegno del nuovo presidente neofascista brasiliano, Jair Bolsonaro, era particolarmente scontato. Ma è inquietante notare come anche il Canada, il Regno Unito, la Francia, la Germania e la Spagna abbiano appoggiato questo tipo di ingerenza negli affari interni di un altro paese.

Il governo di Maduro non merita di sopravvivere, perché ha devastato l’economia del paese. L’anno scorso la sua “rielezione” alla presidenza è stata il prodotto di un voto chiaramente truccato. Tre milioni di venezuelani (il 10 per cento della popolazione) sono già fuggiti all’estero. Ma sono i venezuelani a dover risolvere il problema, non gli stranieri e men che meno gli statunitensi.

“Impero gringo”
La storia dei tentativi di Washington di rovesciare i governi di sinistra in America Latina è lunga e disastrosa. Alcune operazioni – Cuba nel 1960, Nicaragua nel 1981 e Venezuela nel 2002 – hanno colpito governi nati da una rivoluzione. Altre – Brasile nel 1964, Cile nel 1973 e Argentina nel 1976 – hanno preso di mira governi democraticamente eletti. Per Washington non ha mai fatto alcuna differenza.

Un tempo, però, faceva differenza per gli alleati degli Stati Uniti in Europa e in Nordafrica. I loro governi sostenevano la democrazia ma non la “democrazia” imposta con le armi degli Stati Uniti, sottolineando che gli interventi di Washington violavano il diritto internazionale incarnato dalla carta delle Nazioni Unite. Erano gli anni dell’eccezionalismo sfrenato degli Stati Uniti. Dal punto di vista storico Maduro non sbaglia a parlare di “impero gringo”.

I tentativi di rovesciare i governi sgraditi a Washington in Afghanistan, in Iraq e in Libia sono andati abbastanza male

Oggi gli europei e i canadesi sembrano disposti a sostenere un intervento dello stesso tipo in Venezuela. È difficile trovare una spiegazione. Riconoscere un presidente alternativo come legittimo (su basi abbastanza inconsistenti) apre la strada al sostegno del suo governo alternativo attraverso denaro e armi e dunque alla guerra civile in Venezuela.

In questo modo, tra l’altro, si creano le condizioni per l’intervento militare diretto degli Stati Uniti. Il segretario di stato Mike Pompeo si è affrettato a dichiarare che “tutte le opzioni sono sul tavolo”. Come sanno tutti, nel gergo diplomatico del governo di Washington questa espressione significa “potremmo invadere il vostro paese”. Ma davvero le cose andranno così?

In teoria gli alti ufficiali dell’esercito statunitense e i funzionari del governo avrebbero dovuto già capire che intervenire militarmente non è una buona idea. Gli ultimi tentativi di rovesciare i governi sgraditi a Washington in Afghanistan, in Iraq e in Libia sono andati abbastanza male. Perché mai in Venezuela dovrebbe andare meglio? Persino le invasioni pianificate con le migliori intenzioni hanno la tendenza a produrre risultati disastrosi.

Un gioco pericoloso
Il problema è che nell’amministrazione Trump quasi tutti gli “adulti” si sono dimessi o sono stati licenziati, sostituiti da personaggi di secondo piano e marionette che non hanno la più pallida idea di come funzionino queste faccende. D’altronde è difficile pensare che un’amministrazione competente e ben informata avrebbe mai accarezzato l’idea di attaccare l’Iran (anche qui, “tutte le opzioni sono sul tavolo”).

Invadere il Venezuela non sarebbe stupido quanto attaccare l’Iran, ma l’operazione incontrerebbe senz’altro una resistenza armata a cui sarebbero tentati di partecipare anche i patrioti venezuelani che disprezzano Maduro, perché gli eserciti di occupazione stranieri suscitano immancabilmente l’odio della popolazione. Inoltre Cuba, la Russia e probabilmente anche la Cina sosterrebbero la resistenza con denaro e magari anche con armi (che comunque non mancano in Venezuela).

È un gioco pericoloso, e si stenta a credere che governi attenti come quelli di Spagna, Francia e Canada pensino che sia una buona idea sostenere la pretesa di Guaidó di essere il legittimo presidente del Venezuela solo perché è presidente del parlamento. Forse hanno talmente paura di Donald Trump da sentirsi obbligati ad adeguarsi al suo piano strampalato, ma è improbabile.

Trump non fa più così tanta paura una volta scoperto che si accontenta di una minima concessione simbolica da presentare come una vittoria storica. Messicani e canadesi hanno sfruttato questa debolezza del presidente nel negoziato sul Nafta. Il leader nordcoreano Kim Jong-un si prepara a fare lo stesso nel suo secondo “vertice” con Trump. Quando sarà il momento, anche la Cina seguirà l’esempio per risolvere la “guerra commerciale” con gli Stati Uniti.

La possibilità più inquietante è che gli alleati Nato degli Stati Uniti abbiano paura di essere trascinati in una guerra con l’Iran e dunque siano disposti ad assumersi il rischio di una guerra in Venezuela. Dopo tutto i danni sarebbero inferiori. Non per i venezuelani, ovviamente.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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