19 febbraio 2018 13:30

A quanto pare tra la sera del 7 febbraio e la mattina dell’8, le forze statunitensi in Siria hanno ucciso più di 200 combattenti russi, l’episodio più grave dalla fine della guerra fredda. Eppure non ci saranno ripercussioni internazionali, e nessun russo riceverà una medaglia al valore postuma com’è accaduto a Roman Filipov, il pilota abbattuto il 3 febbraio sui cieli della Siria e che ha resistito alla cattura fino a quando è stato costretto a farsi saltare in aria con una granata.

Il motivo per cui non sarà ufficialmente confermato nemmeno il numero dei caduti è che i russi erano mercenari, non soldati regolari, e probabilmente la loro missione non aveva alcun legame con gli obiettivi geopolitici di Mosca in Siria. I russi stavano infatti cercando di riconquistare una raffineria nel giacimento di gas e petrolio di Al Isba, nella provincia ricca di petrolio di Deir Ezzor, in precedenza fonte di guadagno per il gruppo Stato islamico (Is) in Siria.

In un comunicato sull’incidente, il ministro della difesa russo ha parlato di “componenti delle milizie siriane” impegnati a condurre “un’operazione contro una cellula dormiente dell’Is”. Con questo voleva dire che gli uomini stavano svolgendo una missione puramente privata per conto del regime del presidente siriano Bashar al Assad, che ha bisogno dei ricavi del petrolio per ricostruire i territori sotto il suo controllo. Probabilmente i combattenti avrebbero ricevuto in cambio una partecipazione nel business del petrolio.

Operazioni sovrapposte
Oggi i russi sono impegnati in due guerre. Una è quella combattuta dai soldati regolari e segue le priorità geopolitiche del Cremlino. L’altra coinvolge i mercenari che cercano di ottenere un profitto personale. La linea di demarcazione tra queste due guerre non è sfocata come si potrebbe pensare, ma a volte le due operazioni si sovrappongono.

La campagna siriana rappresenta un esempio chiaro di questa situazione complessa. In Siria operano le forze russe ufficiali, che hanno già festeggiato la vittoria vantandosi anche dell’esperienza di combattimento acquisita sul campo. Il loro obiettivo era salvare il regime di Assad sacrificando il minor numero possibile di vite russe (i morti ufficiali sono stati appena 44), stabilire e rafforzare la presenza della Russia in Medio Oriente e affermare Mosca come una forza capace di risolvere le crisi della regione.

Poi c’è la compagnia militare privata Wagner, una divisione con base nella Russia meridionale che arruola uomini, spesso ex soldati, spesso pagati più di quelli regolari, ma senza gli equipaggiamenti all’avanguardia e il supporto statale di cui beneficiano le truppe regolari. I loro stipendi possono essere pagati dal governo russo, ma il denaro può anche arrivare da progetti paralleli, come la riconquista delle raffinerie per conto di Assad.

Le truppe regolari di Mosca e la compagnia Wagner devono combattere dalla stessa parte, contribuendo a portare avanti l’agenda geopolitica di Mosca. Ma il grado di coordinamento tra le due forze è spesso ridotto. In Siria la Wagner lavora per Assad, non per la Russia – sono i “componenti delle milizie siriane”. Questa demarcazione tra le due guerre esiste nella vittoria e nella sconfitta. Se il raid per la riconquista della raffineria fosse stato un successo, ad attribuirsene il merito sarebbe stato solo Assad.

L’esperienza dell’Ucraina
Le informazioni sulle perdite della Wagner sono filtrate e sono state confermate da diverse fonti perché molti degli uomini impiegati in Siria hanno combattuto anche in Ucraina orientale. È per questo che Igor Girkin – ex comandante militare della cosiddetta Repubblica popolare di Donetsk – raccoglie le notizie dei compagni caduti mentre le organizzazioni che seguono la partecipazione della Russia nel conflitto ucraino – come il Conflict intelligence team o i nazionalisti ucraini di Mirotvorets – confermano i nomi di alcuni caduti.

La situazione in Ucraina orientale è simile a quella in Siria, ma ci sono maggiori sovrapposizioni tra le truppe russe regolari e quelle irregolari. Il Cremlino ha interessi geopolitici chiari nell’area – la destabilizzazione dell’Ucraina – ma non può discuterne apertamente.

Il presidente Vladimir Putin è stato molto evasivo nella sua unica dichiarazione sull’argomento, rilasciata in una conferenza stampa del 2015: “Non abbiamo mai detto che non ci sono persone che cercano di risolvere determinate problematiche, anche nella sfera militare, ma questo non significa che qui siano presenti truppe regolari”.

La Russia non ha mai confermato di aver inviato unità dell’esercito in momenti cruciali della guerra in Ucraina orientale, anche se queste operazioni sono ben documentate. Sul campo sono presenti gli uomini della Wagner e altri irregolari che combattono spinti dall’ideologia nazionalista e dal desiderio ottenere una fetta dei ricavi minerari della regione.

Come in Siria, gli interessi geopolitici del Cremlino e gli interessi economici degli irregolari in Ucraina non coincidono al 100 per cento. Ma gli irregolari non possono danneggiare gli interessi di Putin senza andare incontro a severe punizioni.

Un coinvolgimento innegabile
L’importante ruolo dei mercenari nei conflitti in cui è impegnata la Russia non riguarda soltanto la possibilità di operare senza un riconoscimento ufficiale. Si tratta sostanzialmente di un’estensione della cultura da free lance che ha prosperato sotto Putin nelle forze dell’ordine russe, con i servizi segreti che si appoggiano alla criminalità e assoldano hacker per portare a termine missioni speciali in cambio di un ricavo economico.

Tuttavia per il Cremlino – ovvero l’istituzione che gestisce le guerre geopolitiche – poter negare il proprio coinvolgimento è fondamentale. Nel caso di Deir Ezzor, però, è estremamente difficile farlo a causa dell’elevato numero di vittime.

La vicenda dimostra che permettere ai combattenti irregolari russi di partecipare al conflitto per favorire l’agenda di Putin può essere rischioso. Grigorij Javlinskij, un liberale candidato alle discusse elezioni presidenziali russe, ha chiesto che Putin risponda della morte dei combattenti russi.

Inoltre la notizia di funerali e famiglie in lutto circolerà inevitabilmente sui social network, e molti russi non presteranno attenzione allo status di combattenti privati delle vittime. Come Girkin e i suoi alleati nazionalisti, attireranno l’attenzione sulla mancata risposta di Putin al massacro di cittadini russi compiuto dagli Stati Uniti, il paese considerato in Russia come il principale nemico.

I mercenari di ritorno in Russia, inoltre, racconteranno l’indifferenza per la loro sorte da parte delle autorità. Dubito che capiscano realmente quanto sono sottili i legami tra loro e i soldati regolari. Al contrario, probabilmente pensano di combattere una guerra per la Russia, non per una compagnia privata. Anche se si tratta di un’illusione, questa realtà contribuirà ad aumentare l’insoddisfazione per un regime che divide i combattenti tra soldati di prima classe e soldati di serie b, che fanno il lavoro sporco. In sostanza è l’ennesima dimostrazione che il regime di Putin non ha a cuore la sorte dei cittadini russi.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è stato pubblicato su Bloomberg View.

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