11 settembre 2020 13:05

Il regno di Salman aspirava a diventare una potenza regionale egemonica nel mondo arabo. Questo sogno si è infranto quando una diplomazia distensiva ha gradualmente lasciato il posto ad avventure militari azzardate, intrighi e ostentazioni di forza nei confronti degli stati vicini.

Nessuna delle politiche regionali del regno ha prodotto le vittorie che il re Salman e suo figlio Mohammed bin Salman si attendevano, e cioè l’incoronazione del paese come arbitro indiscusso degli affari arabi. Negli ultimi cinque anni gli incendi regionali si sono dimostrati più devastanti e difficili da estinguere del previsto.

Per la prima volta dallo scoppio della guerra del Golfo nel 1990, il regno sta assistendo a un deterioramento della sua sicurezza, dovuto agli errori di valutazione del re rispetto a quella che pensava sarebbe stata una rapida sconfitta dei suoi nemici storici e di quelli recenti. Una spesa senza precedenti in armamenti ha significato non solo uno sperpero di proventi petroliferi già in calo, ma anche una fonte di imbarazzo che ha messo a nudo la fragilità delle capacità del regno in materia di sicurezza.

I territori più remoti del paese, i giacimenti petroliferi e le città più importanti sono stati colpiti da missili e droni, senza alcuna prospettiva di mettere fine all’umiliazione. Questi incidenti inattesi sono stati il risultato diretto dell’incapacità del regno di raggiungere una conciliazione con l’Iran e di mettere fine alla guerra nello Yemen, avviata da re Salman e da suo figlio nel 2015. Se in termini militari questi attacchi sporadici contro il regno non hanno prodotto grandi devastazioni, si sono dimostrati estremamente dannosi per le credenziali della leadership saudita.

Sotto la leadership di Salman, l’influenza iraniana invece di ridursi si è diffusa nei vecchi territori arabi dove era già in ascesa, tra cui l’Iraq

L’aspirante potenza egemonica si è ritrovata sotto attacco per rappresaglia contro la sua guerra ai ribelli sciiti huthi nello Yemen, il paese più povero del mondo arabo. Pur contando su tutta la potenza delle armi occidentali, dei caccia e della tecnologia militare, il regno di Salman non è stato in grado di mettere in sicurezza i suoi confini e il suo spazio aereo. Anziché avviare dei seri negoziati con l’Iran per giungere a un accordo e mettere fine a decenni di ostilità, la monarchia ha deciso di perpetuare il conflitto. Salman ha optato per lo scontro indiretto con l’Iran non solo nello Yemen, ma anche in Libano e in Siria. Sotto la leadership di Salman, l’influenza iraniana invece di ridursi si è diffusa nei vecchi territori arabi dove era già in ascesa, tra cui l’Iraq.

Turchia e Qatar nel mirino
Nella regione, Salman ha innescato la frammentazione del Consiglio di cooperazione del Golfo, ostracizzando il Qatar e incoraggiando gli altri stati dell’area a fare altrettanto, nella speranza che le sanzioni avrebbero accelerato la caduta del piccolo emirato. Ma il suo piano di rovesciare l’emiro del Qatar e di instaurare un sovrano fantoccio dall’altro lato del confine è fallito.

Salman è riuscito anche a crearsi dei nuovi nemici quando ha provocato l’ostilità della Turchia, dove gli agenti di suo figlio hanno commesso quello che potrebbe essere definito il crimine del secolo: l’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi nel consolato saudita di Istanbul. Mentre i mezzi d’informazione turchi componevano una terrificante ricostruzione delle ultime ore di un giornalista che lottava per la vita sotto le lame dei suoi assassini, il regno di Salman veniva messo all’angolo e considerato uno stato canaglia disposto a commettere crimini brutali e orrendi di una portata senza precedenti. La reputazione dell’Arabia Saudita come una monarchia benevola è stata distrutta in una sola mossa, allertando la comunità internazionale.

Altrove nella regione araba il re ha tentato di consolidare le vecchie alleanze con paesi come il Bahrein, l’Egitto, la Giordania e il Marocco. Ma questi sforzi non sono riusciti a garantirne la sicurezza. I paesi arabi si sono rifiutati di sostenere appieno l’impresa militare saudita nello Yemen e hanno preferito perseguire una politica regionale autonoma. Potendo contare su minori risorse disponibili per comprare la lealtà dei vecchi alleati, il regno di Salman ha faticato a conservare la sua levatura internazionale, perfino tra i suoi alleati arabi più fedeli.

L’abbandono dei palestinesi
Sotto la guida di Salman, l’Arabia Saudita ha violato un antico tabù quando ha aperto nuovi canali diplomatici con Israele, alla ricerca di competenze militari e tecnologiche, per bilanciare la sua crescente insicurezza e vulnerabilità. Queste aperture problematiche hanno reso evidente quanto la leadership di Riyadh fosse disposta a subire le pressioni regionali.

L’Arabia Saudita di re Salman passerà alla storia come il paese che tradizionalmente aveva promesso di sostenere i palestinesi per poi ribaltare improvvisamente la sua politica in favore di relazioni pragmatiche e mirate con la potenza responsabile del loro sradicamento e della loro sofferenza. Da presunta intermediaria per la pace, l’Arabia Saudita ha finito per dimostrare di non aver alcun interesse per i palestinesi e per la loro sofferenza. Salman ha scelto di perseguire una strada pericolosa che non ha portato la pace né ha risolto il conflitto israelo-palestinese. I sauditi non solo hanno sprecato l’occasione di giocare un ruolo centrale nella soluzione del conflitto, ma hanno anche perso la credibilità e l’imparzialità di un sincero mediatore di pace.

Le politiche regionali del regno di Salman si sono incartate su se stesse e hanno contribuito a creare un vuoto nel mondo arabo. Questo mondo oggi è più frammentato e disorientato che mai. Riyadh non sarà mai incoronata come la capitale araba in cui si prendono le decisioni importanti e alla quale gli altri stati arabi sono portati a mostrare deferenza. Mentre tenta a fatica di guidare una regione in subbuglio, l’Arabia Saudita è rimasta sola.

Il regno non ha mai subìto un arretramento così drastico della sua influenza nel mondo arabo come quello vissuto sotto la leadership di Salman. Oggi il suo regno è considerato una potenza predatoria che si sforza di consolidare le sue credenziali e la sua reputazione, contando più nemici che amici.

(Traduzione di Francesco De Lellis)

Questo è il secondo di una serie di tre articoli sull’eredità del re Salman scritti dall’antropologa saudita Madawi al Rasheed su Middle East Eye. Qui il primo.

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