09 febbraio 2024 15:01
Pierluigi Longo

I francesi sono ancora interessati alle “rappresentazioni immaginarie che traducono desideri più o meno coscienti”, per citare la definizione di fantasia data dal dizionario Larousse? A quanto pare sempre meno. Negli ultimi vent’anni le ricerche della parola “fantasia” su Google sono crollate.

Stando al Sexreport del 2023 dell’azienda Amorélie, la fantasia non è più indispensabile: solo un terzo degli intervistati la cita tra i suoi stimoli erotici. Il mezzo primario dell’eccitazione rimane il contatto fisico. Si potrebbe concludere, maliziosamente, che al momento di scatenare il desiderio il corpo ha sempre la meglio sul cervello.

Questa sottovalutazione della fantasia suscita comunque un interrogativo affascinante: se decenni di liberazione erotica avrebbero dovuto far esplodere il nostro immaginario, perché invece ci troviamo di fronte a un disinteresse, forse addirittura a un impoverimento?

Sarà per un eccesso di disincanto? Con internet le fantasie sono diventate pubbliche. Al riparo dell’anonimato si racconta tutto, si espone tutto, dimostrando giorno dopo giorno l’implacabile verità di una regola del web: “Se una cosa esiste, allora esiste anche la sua versione porno”. Una tendenza che sarà certo corretta dall’intelligenza artificiale, visto che oggi è sufficiente esprimere un’idea per trasformarla in un’immagine o un copione (e presto anche in un video).

Prevedibile e kitsch

Questa banalizzazione del discorso sulla fantasia era stata preceduta da altre forme di diffusione pubblica delle fantasie: basti pensare alla loro classificazione, prima da parte degli psichiatri e poi dei sondaggisti, con i relativi elenchi, che a loro volta hanno spianato la strada allo sfruttamento commerciale: “Non perdetevi il nostro profumo speciale Voyeurismo”. Passando per il tritacarne del capitalismo, la fantasia ha perso parte del suo potere e fascino, e si è fatta al tempo stesso prevedibile, generica e kitsch: sesso in spiaggia, sesso a tre, con il pompiere, con l’infermiera…

Non è scomparso solo il segreto, ma è molto probabile che la fantasia stessa stia come evaporando. Chi ha ancora il tempo di accanirsi a evocare rappresentazioni immaginarie, in un’epoca in cui siamo saturi di rappresentazioni reali, accessibili sia sugli schermi giganti sia sugli smartphone, senza alcun limite di quantità o qualità? Perché coltivare il proprio giardino segreto erotico, quando scopriamo che la maggior parte dei giardini si somigliano tra loro? E che perfino la nostra fantasia più originale (chessò, il feticismo dell’uva) è già stata esplorata (lascio a voi il compito di digitare “feticismo uva” nel motore di ricerca)?

La forza della fantasia nasce da un vuoto che l’immaginazione va a colmare. Oggi però siamo di fronte all’opposto del vuoto, cioè alla saturazione. Ogni secondo si producono più pornografia, libri erotici, discussioni su forum di quanti ne potrà mai consumare chi naviga su internet.

In ogni caso la fantasia non è fatta per essere consumata. Richiede un certo sforzo, o quantomeno una posizione attiva di fronte al proprio desiderio. Fiorisce meno oggi che i momenti un tempo dedicati alla noia (gli spostamenti sui mezzi di trasporto, in ascensore, le file) si saturano a loro volta (di notifiche, email di lavoro o di videogiochi). Quando la mente si svuota, il corpo si riaffaccia, e l’immaginazione può prendere il sopravvento. Ma se spariscono anche questi momenti, dove possono mai schiudersi le fantasie?

Tentativi moralizzanti

Neanche l’eccesso di notizie alimentato dai telefoni aiuta a formulare pensieri eccitanti. Cosa avete seguito questa settimana: i trentadue editoriali pro o contro Gérard Depardieu, oppure il conteggio dei femminicidi? Queste informazioni sono cruciali, è evidente, ma l’eccesso può provocare il disgusto del sesso, degli esseri umani e delle fantasie stesse.

È in atto un tentativo di moralizzazione delle fantasie che, a mio parere, può spiegare la comparsa di una forma di autocensura dell’immaginario. Io stessa mi sono vista rimproverare alcuni dei miei disegni erotici come “non conformi”, con la scusa che potrebbero offendere, essere mal interpretati, giustificare reati sessuali o incitare uomini a stuprare donne (preciso che, nei miei disegni, non solo tutti sono fatti di acquerello, ma sono anche tutti consenzienti). La visione di opere di fantasia potrebbe inoltre spingere gli spettatori a ricercare contenuti sempre più spinti (pensateci, la prossima volta che disegnate una margheritina: una cosa tira l’altra, e vi ritroverete a promuovere atti di crudeltà sui fiori).

La fantasia, un tempo spazio di libertà assoluta, dovrebbe ormai piegarsi non solo alle leggi dello stato, ma anche a quelle di una repubblica ideale in cui la violenza si potrebbe prevenire vietando certi pensieri (quasi come in un romanzo di Philip K. Dick). Le fantasticherie erotiche andrebbero subordinate al dovere del bravo cittadino, con scenari e protagonisti femministi, antirazzisti, pacifisti, inclusivi verso le persone di qualsiasi età, religione, disabilità, e ovviamente di qualsiasi identità e orientamento sessuale.

Si può desiderare senza discriminare? Dobbiamo muovere guerra al nostro stesso immaginario? Ci si può concedere pensieri immorali, dal momento che ci eccitano e ci fanno bene? Avrei potuto rivolgere queste domande a degli studenti di filosofia durante un esame, ma preferisco lasciarle allo sceneggiatore, attore e regista transgender Océan, che nel suo saggio Dans la cage (Julliard 2023), ha dato forma a una originalissima autobiografia vista attraverso il prisma delle fantasie.

Océan ha tentato di disciplinare le sue fantasie, che a un certo punto gli sembravano eticamente inaccettabili (racconta di aver provato a convertirsi, senza successo, al porno femminista): “È concepibile avere fantasie non attraversate dal tema della dominazione? E sarebbe auspicabile? Le fantasie sessuali, come la tragedia antica e i film dell’orrore contemporanei, non hanno forse una funzione catartica che andrebbe mantenuta, per sopportare l’esistenza e incanalare la nostra violenza innata?”.

Dans la cage parla di come riconciliare trauma e immaginazione, ma ha anche il merito di non colpevolizzare nessuno e autorizzare una certa tolleranza. Un approccio liberatorio più che gradito in un’epoca in cui, dopo che abbiamo quantificato le calorie e razionalizzato gli addominali, ci viene chiesto anche di dominare i desideri, se non addirittura l’inconscio.

Vorrei concludere tranquillizzando le nostre lettrici e i nostri lettori: non mi sono convertita alla mentalità “era meglio prima”. Credo che la fantasia possa risorgere da questo periodo sfavorevole grazie a due delle sue qualità più dirompenti. Innanzitutto, il desiderio può rimanere segreto, e il segreto stesso può tornare ai suoi splendori (quando saremo esausti di sapere tutto, di tutti, tutto il tempo). Inoltre, certe fantasie resistono a ogni possibile massificazione proprio perché sono saldamente ancorate alla realtà. È il caso, per esempio, delle fantasie che prevedono persone conosciute, luoghi familiari, ricordi o addirittura sogni. Vi lascio con un paradosso: più il nostro immaginario è vicino alla realtà, più diventa eccezionale. Non abbiamo ancora finito di sognare.

(Traduzione di Francesco Graziosi)

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