Mi imbarazza un po’ dirvi che i consumatori “etici” sono irritanti, ma non si può discutere con la scienza. In uno studio condotto negli Stati Uniti, i ricercatori hanno offerto ai partecipanti la possibilità di comprare un paio di jeans ricevendo due informazioni a scelta tra queste: il prezzo, il modello, il colore e lo sfruttamento del lavoro minorile.
A chi non ha voluto saperne nulla del lavoro minorile è stato chiesto di giudicare le persone che avrebbero scelto quell’informazione. Pensavano che fossero più affascinanti, chic o carismatiche? No: le hanno giudicate poco attraenti, noiose e stravaganti. La vita, diversamente dalle pratiche industriali alla base del nostro guardaroba etico, è ingiusta.
Tuttavia, il motivo di questa reazione è chiaro, e dovrebbe consolare chi ha più scrupoli morali. Si chiama teoria del confronto sociale. I compratori “immorali” sapevano che avrebbero dovuto preoccuparsi del lavoro infantile ma non avevano voluto pensarci, perciò si erano sentiti in imbarazzo davanti a chi l’aveva fatto. Quindi non è vero che chi compie una scelta etica è insopportabilmente compiaciuto di sé e dunque irritante.
Un’altra parte dello studio ha confermato questa teoria: quando insieme ai pantaloni hanno ricevuto la proposta di fare una donazione a un ente benefico senza spendere nulla, non hanno sentito il bisogno di denigrare gli altri. “Avevano avuto la possibilità di consolidare la loro identità etica”, ha scritto la ricercatrice Rebecca Reczek sulla Harvard Business Review. “Perciò non si erano sentiti in imbarazzo”.
Davanti a un abominio morale, abbiamo due modi per sbarazzarci del disagio che ci provoca
Se il nostro sogno è fare del mondo un posto migliore, questo studio è scoraggiante. Sarebbe bello poter pensare che fare scelte etiche induce gli altri a imitarci. È vero che le persone che dimostrano una grande dirittura morale – come Nelson Mandela, per esempio – sono motivo di ispirazione. Ma questo è dovuto in parte al fatto che non ci paragoniamo quasi mai a loro. Non abbiamo avuto la possibilità di passare anni in prigione per far uscire il Sudafrica dall’apartheid, quindi non dobbiamo vergognarci per non averlo fatto.
Invece i piccoli comportamenti virtuosi – quelli che potremmo imitare se ci prendessimo la briga di farlo – scatenano il confronto e il senso di colpa. Il risultato finale è che siamo meno motivati a essere virtuosi. Dopo aver etichettato i consumatori etici come tipi strambi e noiosi, i partecipanti allo studio erano meno indignati di prima per il lavoro minorile.
Questo problema va ben oltre le nostre scelte al momento di un acquisto. Davanti a un abominio morale, abbiamo due modi per sbarazzarci del disagio che ci provoca. Uno è cercare di eliminare quell’abominio, l’altro è cercare di non pensarci, come le persone che non vogliono sapere dello sfruttamento dei minori. Possiamo affrontare il problema degli orrori commessi negli allevamenti intensivi diventando vegetariani, oppure evitando di frequentare i vegetariani che criticano gli allevamenti intensivi.
Ma abbiamo qualche motivo di essere ottimisti. In fondo, quei compratori “immorali” non lo erano veramente, anzi reagivano in quel modo proprio perché sapevano che l’etica è importante. Non provate però a fargli cambiare idea dicendo che le loro scelte sono sbagliate. Per placare i sensi di colpa, non raccoglieranno il messaggio, oppure cercheranno di convincervi che siete voi i tipi strambi.
(Traduzione di Bruna Tortorella)
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano The Guardian.
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