22 novembre 2017 13:11

A cosa servono i sogni? È una di quelle domande così vaste che la risposta ci fa capire qualcosa soprattutto della persona che risponde. Quelli che si vantano di essere pragmatici e scientifici vi diranno che sono sciocchezze senza alcun significato o, nel migliore dei casi, che sono un processo noioso ma essenziale per consolidare i ricordi della giornata. Quelli che magari si ritengono più spirituali, insisteranno nel sostenere che sono messaggi dall’aldilà.

Ma la risposta pragmatica non è molto più plausibile di quella stravagante. Se i sogni nascono da attività cerebrali casuali, come mai sembrano svolgersi in modi così coerenti? E se sono solo banali rielaborazioni degli eventi della giornata, come mai sono spesso così vividi, fantasiosi, ossessionanti o surreali? (Non vi preoccupate, non vi annoierò con i miei, anche se il fatto che “niente è più noioso dei sogni degli altri” è già piuttosto interessante di per sé).

Come scrive James Hollis, uno psicoterapeuta junghiano secondo cui i sogni non sono affatto insensati, “chi mai inventerebbe certe cose?”. Notte dopo notte, quando andiamo a letto ci passano per la mente storie folli e complicatissime sulle quali non abbiamo nessun controllo. Non ditemi che non è una cosa affascinante.

La calma dopo il sonno
I sogni sono difficili da studiare in laboratorio, per l’ovvio motivo che sono un’esperienza esclusivamente personale. Anzi, come fa notare il filosofo Daniel Dennett, non possiamo neanche essere certi che siano una nostra esperienza, almeno non come ce la immaginiamo. Ce li “ricordiamo” quando ci svegliamo, ma come facciamo a essere sicuri che quel ricordo non è stato inserito nella nostra mente al risveglio?

Comunque, gli studi di alcuni ricercatori, tra cui Matthew Walker, autore del nuovo libro Why we sleep, fanno pensare che i sogni siano una sorta di “terapia notturna”: durante il sonno rem, rielaboriamo emotivamente le esperienze che ci hanno messo alla prova, ma in assenza di un neurotrasmettitore che induce l’ansia come la noradrenalina. Nel corso degli esperimenti, le persone alle quali venivano mostrare immagini con una forte carica emotiva reagivano con più calma quando le rivedevano dopo una buona nottata piena di sogni. Né con un sonno senza sogni né con il semplice passare del tempo si otteneva lo stesso risultato.

Ma sicuramente Carl Jung non avrebbe accettato questa spiegazione, perché sosteneva – cerco di semplificare – che sono messaggi dell’inconscio il cui scopo è offrirci, in forma simbolica, intuizioni che sfuggono alla mente cosciente. Quale cambiamento ci sta suggerendo il sogno in cui precipitiamo lungo un pendio in un carrello della spesa diretto verso un burrone?

La cosa straordinaria è che questo metodo funzionerebbe anche se Jung si fosse sbagliato e i sogni fossero fenomeni casuali

Di solito ce lo scriviamo, lo analizziamo, con o senza l’aiuto di un analista, ipotizziamo diverse interpretazioni, e se una ci sembra quella giusta – se ci ha fatto venire la pelle d’oca e ci ha provocato una forte emozione – cerchiamo di approfondirla.

La cosa straordinaria, se ci pensate bene, è che questo metodo funzionerebbe anche se Jung si fosse sbagliato e i sogni fossero fenomeni casuali. Se li trattiamo come se fossero potenzialmente significativi, e prendiamo in considerazione solo quelle interpretazioni che ci sembrano veramente “giuste”, finiamo comunque per capire qualcosa di importante. Io ci ho provato, e ve lo consiglio vivamente.

Chiederci che cosa stanno cercando di dirci i nostri sogni significa farci domande profonde e difficili che altrimenti eviteremmo, anche se in realtà non stavano cercando di dirci proprio nulla.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian.

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