21 febbraio 2018 18:52

1. Elem, Godere operaio (practice)
“Parlo a nome degli elfi del bosco di Fangorn, dei Nuclei colorati risate rosse, del Movimento politico fantomatico assente, delle Cellule dada-edoniste, di Godere operaio e Godimento Studentesco”. Spirito del 1977, parole del leader situazionista Gandalf il Viola: time capsule dell’epoca tramandata ai posteri per vie elettroniche e trip hop da un progetto nato all’ex asilo Filangieri, laboratorio napoletano di creatività. Basi di Marco Messina (99 Posse), comizi d’amore, slogan, rabbia, utopie che covano sotto le ceneri. Stramberia preziosa.

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2. Soviet Malpensa, Everest (Manifesto asociale)
A volte ci si lascia incantare da un nome e da un titolo. E una band con il nome da collettivo aeroportuale ha un che di deliziosamente distopico e non del tutto inattendibile. Siamo in provincia di quella neopsichedelia a volte un po’ indolente che si chiama shoegaze: e l’intero album della band milanese varesina, intitolato Astroecology, è come una guida del Touring. Giovani leopardiani girano video in Islanda, celebrano sogni da sonnambuli, tra campane tibetane, bordate di basso e batteria e voci con l’eco di montagna.

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3. Gleb Kolyadin, Confluence (feat. Steve Hogarth)
Musica per solutori attenti (e per chi amava certi pezzi di Tony Banks nei primi Genesis): un pezzo di oltre dieci minuti, che inizia piano (con l’ex leader dei Marillion a mormorare cose suggestive) e poi si allarga gradualmente in un vortice di tempi e arpeggi su panorami insospettati. Kolyadin è un musicista da conservatorio di San Pietroburgo che ha trovato la sua fama con il progetto iamthemorning, band “chamber prog”. Nel suo esordio da solista Kolyadin smonta le pareti di questa camera e amplia i suoi orizzonti.

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Pier Andrea Canei scrive per Internazionale la rubrica “Playlist”, in cui recensisce tre album in uscita. Questa rubrica è stata pubblicata il 16 febbraio 2018 a pagina 88 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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