05 marzo 2019 10:25

La Turchia del presidente Recep Tayyip Erdoğan continua a scivolare verso l’autoritarismo. Tra i numerosi episodi che confermano il funzionamento a pieno regime della macchina repressiva, c’è la requisitoria pronunciata il 20 febbraio da un procuratore di Istanbul con la richiesta di una condanna all’ergastolo per sedici persone, tra cui Osman Kavala, imprenditore turco di 61 anni nato in Francia e personalità di primo piano della società civile turca.

“Una follia totale”, ha protestato su Twitter la parlamentare Kati Piri, referente del Parlamento europeo sulla Turchia. Marc Piérini, ex ambasciatore dell’Unione europea ad Ankara e oggi ricercatore per la fondazione Carnegie, ha parlato di “giornata triste per la Turchia, la popolazione turca e lo stato di diritto. Questa requisitoria non ha alcun senso se non quello di confermare che la Turchia sta sprofondando nell’autocrazia”.

Osman Kavala è detenuto in isolamento da quasi cinquecento giorni. Il suo arresto nell’ottobre del 2017 aveva sorpreso tutti, perché Kavala aveva dedicato la vita al dialogo tra le comunità in Turchia e tra la Turchia e l’Europa, dunque lontanissimo dall’accusa di “tentato rovesciamento del governo” che gli è stata rivolta.

Ricette autoritarie
Il governo turco ha deciso di farne un capro espiatorio addossandogli la responsabilità delle rivolte di piazza Taksim del 2013, la più grande sfida al potere di Erdoğan da parte di una “generazione nutrita dalla cultura individualista occidentale”, secondo la formula della giornalista Ariane Bonzon, autrice di
Turquie, l’heure de vérité.

In quell’occasione il presidente turco aveva attaccato duramente Kavala, definito pubblicamente il “Soros di Turchia” con riferimento al finanziere ebreo statunitense di origine ungherese diventato il bersaglio dell’estrema destra in Europa e negli Stati Uniti (evidentemente i regimi autoritari si scambiano tra loro le “ricette” che funzionano…).

Questa nuova ondata repressiva ha colpito anche i mezzi d’informazione (come sempre) e in particolare Can Dündar, ex caporedattore del quotidiano Cumhuriyet, oggi in esilio a Berlino e inserito nella lista degli imputati. Ma Erdoğan vuole colpire anche la società civile liberale e culturalmente vicina all’Europa, per darle il colpo di grazia: qualsiasi finanziamento ad associazioni o iniziative culturali proveniente dall’estero è ostacolato, mentre il governo esalta lo splendido isolamento della Turchia, avvolta nel suo glorioso passato ottomano.

Il capo di stato turco è animato da preoccupazioni immediate – le elezioni municipali del 31 marzo si svolgeranno in un contesto segnato dalle difficoltà economiche che intaccano il potere d’acquisto dei turchi più poveri – ma anche dall’idea che la situazione geopolitica attuale offra un’occasione storica per lui, per l’ideologia islamista e conservatrice del suo partito, il Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp), e per il suo sogno di restaurare la potenza ottomana.

Appartenente alla Nato, la Turchia può permettersi di acquistare missili S-400 dalla Russia e ignorare le pressioni di Washington, di tenere in scacco gli europei (spaventati dalla possibilità di vedersi arrivare ai confini un milione di profughi siriani) e manovrare affinché l’epilogo della guerra in Siria non avvantaggi le minoranze curde, su entrambi i lati del confine.

Il destino di uomini come Osman Kavala non ha un grande peso in questa equazione, e la debole solidarietà manifestata dal mondo esterno ha un impatto quasi inesistente. Il triste simbolo di un’epoca di regressione.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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