07 settembre 2021 10:10

La storia, si sa, raramente si ripete due volte nello stesso modo. Quelli che speravano di vedere la valle del Panjshir, a nord di Kabul, diventare nuovamente il bastione inconquistabile nell’epoca del comandante Ahmad Shah Massoud hanno dovuto ricredersi. Il 6 settembre i taliban hanno annunciato di aver assunto il controllo della valle, anche se Ahmad Massoud, figlio del “leone del Panjshir”, ha lanciato un appello radio alla resistenza. In un ambiente profondamente trasformato, questa missione rischia di essere molto difficile.

Esistono tante differenze tra i taliban della prima versione del 1996, cacciati dal potere nel 2001, e quelli che oggi si sono insediati a Kabul. La loro ideologia non è cambiata, e resta fondata sulla stretta applicazione della sharia, la legge islamica, con tutto ciò che questo comporta per le donne e per la creazione di uno stato moderno.

Di contro, vent’anni di esilio e guerra (ma anche di cambiamenti internazionali) fanno sì che la loro conquista del potere, grazie al ritiro degli Stati Uniti, non somigli affatto alla precedente. E ce ne accorgiamo sempre di più ogni giorno che passa.

La presenza della Cina e della Russia a colloquio con i taliban rende vano ogni tentativo di isolarli

Venticinque anni fa, quando i taliban avevano conquistato Kabul, l’Afghanistan si era chiuso, restando sostanzialmente tagliato fuori del mondo fino alla guerra del 2001. Al contrario, il 6 settembre l’emittente qatariota Al Jazeera ha annunciato che sei paesi sono stati invitati alla prossima presentazione del primo governo taliban. La lista è significativa del nuovo contesto mondiale.

Tra i paesi in questione troviamo chiaramente il Pakistan, padrino segreto dei taliban ormai da tempo. Il capo dei servizi segreti pachistani si trovava negli ultimi giorni a Kabul, come per ricevere un premio per le sue azioni.

Ma ci sono anche due membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu, la Russia e la Cina, che per prendere in contropiede gli Stati Uniti (ma anche per affermare la rispettiva influenza) hanno deciso di giocare la carta dei taliban. La loro presenza rende vano qualsiasi tentativo di isolare il regime. Con l’appoggio di un vicino importante come la Cina, infatti, questa speranza è del tutto irrealistica.

Gli altri tre paesi della lista sono la Turchia, l’Iran e il Qatar, tre stati la cui presenza non era necessariamente scontata.

Il primo, la Turchia, fa ancora parte della Nato, l’alleanza militare guidata dagli Stati Uniti che ha subìto una sconfitta cocente contro i taliban. Eppure il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha deciso di giocare su tutti i fronti, attività in cui riesce particolarmente bene.

Anche l’Iran è in un certo senso una sorpresa, perché i taliban non sono mai stati teneri con la minoranza sciita hazara, una questione che pesa molto nei rapporti con Teheran. Ora però sembra che sia stato trovato un fragile equilibrio.

Infine troviamo il Qatar, che ha giocato un ruolo decisivo negli accordi conclusi tra i taliban e gli Stati Uniti e ha rappresentato una base politica per i vincitori di Kabul. Il Qatar ha preso il posto degli Emirati Arabi Uniti, che erano presenti in Afghanistan in occasione del primo regime dei taliban.

Questo nuovo contesto, a immagine di un mondo multipolare e complesso, dovrebbe spingere gli occidentali a dialogare con i taliban nonostante le loro riserve e quelle di un’opinione pubblica sotto shock. La politica dell’ostruzionismo non aiuterà in alcun modo la popolazione afgana alle prese con un regime che, come abbiamo visto, è tutto fuorché isolato.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it