10 ottobre 2022 10:15

La sera del 9 ottobre Vladimir Putin è uscito dal suo silenzio dopo l’attentato che il giorno precedente aveva danneggiato il ponte che collega la Crimea occupata alla Russia. Dopo l’attacco, chiaramente un atto di sfida personale, il presidente russo ha accusato i servizi segreti ucraini di essere responsabili di quello che ha definito un “atto di terrorismo”. L’Ucraina non ha rivendicato l’operazione spettacolare, anche se alcuni leader se ne sono pubblicamente rallegrati.

Il 10 ottobre Putin riunirà il consiglio di sicurezza russo per preparare la sua risposta, per quanto nel sistema verticale russo l’ultima parola spetti sempre a lui. Evidentemente ci sono importanti decisioni da prendere, perché le cose vanno male. L’attentato, che ha gravemente danneggiato il ponte, rappresenta un’umiliazione per Putin, che ne aveva ordinato la costruzione dopo l’annessione della Crimea e lo aveva personalmente inaugurato nel 2018.

I russi, per minimizzare la portata dell’evento, sottolineano che la circolazione è stata già ripristinata su una delle due carreggiate dell’infrastruttura. Ma il colpo è stato durissimo, perché l’attentato evidenzia per l’ennesima volta le debolezze dell’esercito di Mosca.

Attacchi ciechi
Il 9 ottobre i missili russi hanno colpito in piena notte alcuni palazzi residenziali a Zaporižžja [e la mattina del 10 sono state colpite la capitale Kiev e l’Ucraina centroccidentale, ndr], città ucraina situata nei pressi della centrale nucleare che porta lo stesso nome ed è attualmente controllata dai russi. Le vittime civili sono state almeno 12, uccise nel sonno.

Gli attacchi ciechi di Mosca probabilmente non sono una risposta diretta all’attentato contro il ponte, ma costituiscono uno dei pochi strumenti a disposizione dell’esercito russo per accrescere la sua pressione sull’Ucraina.

Dopo le avanzate degli ucraini e la mobilitazione parziale, a Mosca cominciano a circolare le critiche

Da poco più di un mese l’esercito di Putin è di fatto in ritirata. Due controffensive ucraine, una a nordest e l’altra a sud, hanno permesso a Kiev di riconquistare territori finiti in mani russe dopo l’inizio del conflitto. Le forze ucraine continuano a sfruttare il loro vantaggio, soprattutto a Cherson, nel sud, capoluogo di una delle regioni annesse con il referendum di settembre.
La Russia non riesce a stabilizzare il fronte su una linea che potrebbe essere mantenuta nell’attesa che la mobilitazione parziale imposta nel paese produca effetti positivi. Perché questo accada, però, servirà tempo.

Dopo le avanzate degli ucraini e la mobilitazione parziale, a Mosca hanno cominciato a circolare le critiche, rivolte inizialmente contro i capi militari, primi responsabili della disfatta. Putin ha sostituito il capo dell’operazione speciale in Ucraina e nominato al suo posto un veterano della guerra in Siria. La mossa non promette bene.

Le accuse, intanto, assumono l’aspetto di una lotta tra clan all’interno dell’élite, che non può attaccare il capo supremo senza il quale essa non esisterebbe. In questo momento le bordate si concentrano sul ministro della difesa Sergej Šojgu che, dall’inizio dell’invasione, ha mantenuto un atteggiamento discreto. Secondo i servizi d’informazione statunitensi, citati la settimana scorsa dal Washington Post, un esponente della cerchia ristretta del regime russo avrebbe direttamente criticato Putin per la sua gestione della guerra, una novità che però non basta a parlare di crepe nell’apparato.

Ciò che è certo è che l’attacco contro il ponte ha scalfito ulteriormente la patina di invincibilità costruita da Putin prima del 24 febbraio. Un capo fallibile, in un sistema simile, diventa automaticamente vulnerabile.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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