14 maggio 2018 13:38

In Pakistan fa caldo, in modo soffocante e terrificante, ma il problema degli omicidi di donne (e di qualche uomo) in nome dell’onore non conosce battute d’arresto. Qualche settimana fa un uomo che ce l’aveva con le sorelle per una lite familiare ha cominciato a picchiarle con un bastone. Quando la nonna, centenaria, ha cercato di intervenire, ha cominciato a picchiare anche lei: l’età non conta davanti al privilegio maschile. Quando l’uomo si è deciso a fermarsi la nonna e una delle sue sorelle erano morte. L’altra sorella si trova in ospedale in condizioni critiche.

Prendiamo il mese di maggio. Il 1 un uomo ha ucciso a colpi di arma da fuoco sua sorella e il suo presunto spasimante a Charsadda. In un altro episodio una giovane coppia di Karachi si preparava ad andare a cena con la famiglia della moglie. I due si erano sposati per loro decisione due anni prima e la famiglia di lei non era d’accordo con questa relazione. Di ritorno dalla cena, il risciò in cui la coppia viaggiava (il marito era un conducente di risciò) è stato fermato da aggressori sconosciuti che hanno imbottito i loro corpi di proiettili. Entrambi sono morti.

Dai notiziari si è appreso che la polizia stava aspettando di contattare qualcuno nella famiglia del marito per una denuncia formale, poiché si ritiene che la famiglia della moglie sia coinvolta negli omicidi.

Copertura familiare
Questi sono solo gli ultimi episodi della tragedia in corso in Pakistan. In poco più di settant’anni di esistenza, il Pakistan si è dato un gran da fare per uccidere le sue donne e, in alcuni casi, i suoi uomini per “reati” come il rifiuto di un matrimonio, relazioni immaginarie in cui le accuse servono da giustificazione per la rabbia maschile, relazioni inventate che fanno da copertura ad altri motivi per ottenere un’eredità o sbarazzarsi di vicini inopportuni.

Quasi ogni contrasto si presta a sfociare in un delitto d’onore, una copertura grazie alla quale tutto il quartiere e la società si schierano dalla parte dell’omicida e chiudono un occhio se le indagini si impantanano e la giustizia passa in secondo piano.

Dall’entrata in vigore della legge, nel 2016, sono state uccise 1.280 persone in delitti d’onore

Tutto questo sarebbe dovuto cambiare, almeno un po’, dopo l’approvazione in parlamento di una legge contro il delitto d’onore, nel 2016. Infliggendo ai colpevoli di delitti d’onore la pena obbligatoria dell’ergastolo e non permettendo alla famiglia di “perdonare” il delitto, si prevedeva una diminuzione, se non addirittura la fine, degli omicidi. Il meccanismo di collusione in base a cui le persone di una famiglia commettono questo tipo di reati e poi sono sommariamente “perdonate” dall’altra famiglia, sarebbe stato eliminato.

Si sperava inoltre che la legge avrebbe inferto un colpo anche all’idea che una morte possa essere ammissibile o “onorevole”. Un omicidio è sempre un omicidio, e le pene obbligatorie erano un modo per sottolineare questo dato di fatto, che però a quanto pare in Pakistan è ancora contestato.

Questo esperimento pieno di speranze è fallito. Secondo i dati forniti dalla commissione per i diritti umani del Pakistan, dall’entrata in vigore della legge sono state uccise 1.280 persone in delitti “d’onore”. In più della metà dei casi non è stata sporta denuncia formale e non sono state fornite notizie. Naturalmente in assenza di denuncia formale non c’è alcun procedimento giudiziario. Secondo gli esperti, inoltre, queste cifre, basate su quanto riportato dai mezzi d’informazione e da fonti simili, con ogni probabilità sono sottostimate. Se i delitti d’onore di cui si parla nei giornali continuano a un ritmo così impetuoso, ciò vuol dire che il numero reale potrebbe essere ancora più alto.

Sbarazzarsi del “perdono”
Questi casi non ricadono nemmeno nell’ambito di cui si occupa la nuova legge, che aveva l’obiettivo di imporre pene obbligatorie in caso di delitto d’onore. Perché questo accada, infatti, il caso deve essere classificato come delitto d’onore al momento della denuncia formale. Se ciò non accade, come può essere applicata la pena? La via d’uscita più semplice allora è limitarsi a insistere sul fatto che il delitto abbia altre motivazioni.

Il risultato è sotto i nostri occhi: i delitti d’onore (anche quelli classificati in questo modo) continuano a essere commessi. Anzi, potrebbero essere in aumento, anche se molte denunce formali non fanno alcun riferimento all’onore come motivazione per il delitto.

Se la lotta contro i delitti d’onore è sincera e il Pakistan non è diventato talmente spietato da essere del tutto insensibile a notizie che parlano di coppie adolescenti uccise con una scossa elettrica, persone di ritorno da una cena crivellati da proiettili, donne bruciate, carbonizzate o strangolate, allora occorre un’unità d’indagine speciale che approfondisca le motivazioni di questi omicidi.

L’onere di assicurarsi che gli omicidi d’onore siano classificati come tali e non sfuggano all’obbligatorietà della pena deve ricadere sulle forze dell’ordine. Se questo è ritenuto irrealizzabile perché troppo costoso, forse è giunto il momento di sbarazzarsi del “perdono” per gli assassini, in modo che tutti siano sottoposti a pene obbligatorie, un fatto che ridurrebbe non solo i delitti d’onore, ma anche il tasso complessivo di omicidi nel paese.

Sistemi legali come quello in vigore in Pakistan non funzionano bene a causa di un miscuglio di motivazioni e della possibilità di pene che non implicano il carcere, come per esempio il pagamento di soldi o il perdono, che rendono inefficace l’attuale sistema. L’unico modo per porre fine a questo genere di reati, che provocano nel paese la morte di moltissime persone in modi violenti e attribuiscono al Pakistan la reputazione di paese misogino e barbaro di fronte al resto del mondo, è assicurarsi che queste misure siano intraprese e che le leggi che non funzionano siano sostituite con altre che invece funzionano.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo articolo è uscito sul quotidiano pachistano Dawn

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it