22 settembre 2017 12:45

I cambiamenti che hanno segnato la politica interna e regionale dell’Arabia Saudita negli ultimi tre anni sono tra gli avvenimenti più importanti nel mondo arabo contemporaneo, ma come molte evoluzioni nella politica pubblica araba le decisioni vengono prese in segreto da un gruppo ristretto di persone, spesso con motivazioni oscure ed esiti imprevedibili.

Prima c’è stato il coinvolgimento attivo nell’armare i ribelli per cercare di rovesciare il regime e il presidente siriano. Poi è arrivato l’appoggio al maresciallo Abdel Fattah al Sisi in Egitto nel suo tentativo, riuscito, di esautorare il presidente Mohamed Morsi, seguito dal collasso del tradizionale sistema di successione della famiglia reale quando re Salman ha nominato suo figlio Mohammad bin Salman principe ereditario.

In seguito, è stata lanciata l’operazione militare in Yemen con la collaborazione degli Emirati Arabi Uniti; entrambi i paesi hanno mostrato i muscoli nella regione per dimostrare di essere disposti e capaci di usare le loro risorse per difendersi da quella che consideravano una seria minaccia alla sicurezza da parte dell’Iran e dei suoi alleati nella regione araba, anche se non è chiaro se questa minaccia fosse reale o immaginaria.

Una tradizione diplomatica rinnegata
Nel 2016 l’annuncio della Saudi Vision 2030: Mohammad bin Salman e un migliaio di consulenti hanno presentato il nuovo percorso dello sviluppo nazionale dell’Arabia Saudita, apparentemente senza consultarsi con i comuni cittadini sauditi le cui vite saranno radicalmente cambiate da questa nuova strategia di sviluppo nazionale.

Circa un anno dopo l’annuncio, la Saudi Vision 2030 è stata frettolosamente rivista, forse perché i consulenti statunitensi non avevano idea di cosa stavano facendo in una terra che probabilmente non capiscono o forse perché le ambizioni del giovane Mohammad bin Salman erano troppo grandi rispetto alla capacità dell’economia e della società saudite di adattarsi rapidamente.

Tre mesi fa l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti hanno lanciato il loro assedio al Qatar, cancellando decenni di tentativi di integrazione e cooperazione tra i sei paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo. Un secolo di tradizione diplomatica saudita basata sul dialogo tranquillo e discreto è stato rinnegato in favore di una politica “da gangster” basata sull’impiego di metodi brutali per convincere gli amici a rispettare il volere del capo se vogliono stare lontani dai guai.

Tra le mosse radicali più recenti ci sono una prolungata operazione di sicurezza nella Provincia orientale (soprattutto nella città di Awamiya) che ha provocato diversi morti e la distruzione di alcuni quartieri e l’arresto, questa settimana, di decine di attivisti e religiosi che rappresentano sia l’islamismo conservatore sia l’ala liberale della società.

L’arte di governare dei sauditi si è dimostrata sostanzialmente inefficace nel contesto regionale

L’enorme portata e la durezza di queste insolite azioni dei sauditi (a cui possiamo aggiungere altre manovre, come il rifiuto di versare i tre miliardi di dollari promessi alle forze armate libanesi o l’avvicinamento al leader sciita Moqtada al Sadr in Iraq) evidenziano un cambiamento storico che potrebbe avere conseguenze in tutta la regione araba e oltre, anche considerando i profondi legami tra i sauditi e i gruppi islamici, islamisti e salafiti di tutto il mondo.

Eppure in Arabia Saudita l’esatta portata degli eventi e le loro motivazioni resteranno poco chiare, perché nel paese l’attività politica è un processo segreto che non prevede la partecipazione dell’opinione pubblica né la richiesta ai leader di rispondere delle loro azioni.

Segnali inediti e preoccupanti
Il fatto che l’Arabia Saudita non sia più un gigante dormiente ma si sia risvegliata trasformandosi in un esuberante e dinamico gigante che fa sentire il suo peso nella regione non può ancora essere giudicato facilmente, perché i risultati delle mosse dei sauditi non sono ancora pienamente chiari. È chiaro invece che le nuove politiche hanno fallito in quasi tutti i casi, soprattutto in Yemen, in Siria, in Qatar, in Libano e in Iran. L’arte di governare dei sauditi si è dimostrata sostanzialmente inefficace nel contesto regionale.

L’attuale traiettoria sembra rivolta a chiudere la mentalità degli arabi, a limitarne il dinamismo culturale e artistico

Per osservare i frutti dei cambiamenti interni ci vorrà più tempo. L’improvviso arresto di persone di qualunque schieramento, colpevoli di aver espresso liberamente (senza necessariamente opporsi allo stato) è un segnale preoccupante. Lo sviluppo peggiore potrebbe essere l’adozione da parte del principe ereditario Mohammad bin Salman del manuale di governo del presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi, basato sull’incarcerazione di migliaia di persone che hanno idee lontane dalle verità stabilite dallo stato.

I paesi arabi, i mezzi d’informazione, le aziende private e le altre organizzazioni che dipendono dal sostegno finanziario dei sauditi potrebbero essere costretti a seguire la linea di Riyadh senza fiatare. Sarebbe una catastrofe per un mondo arabo che già adesso deve affrontare molte sfide e che può farlo solo affidandosi all’energia e alle idee delle nuove generazioni.

L’attuale traiettoria sembra invece rivolta a chiudere la mentalità degli arabi, a limitarne il dinamismo culturale e artistico, a ridurre il pluralismo locale di cui godono molte delle nostre società, a distruggere le ultime vestigia di un’informazione libera e responsabile, ad alimentare ulteriori tensioni belliche e settarie e a smantellare il potenziale economico delle nostre terre spingendo a emigrare decine di migliaia di giovani dotati di grandi capacità.

Negli ultimi cinquant’anni l’Arabia Saudita ha ricoperto un ruolo importante nel favorire lo sviluppo nazionale in tutto il territorio arabo, ma i drastici cambiamenti recenti nella sua politica fanno pensare che siamo davanti alla fine di un’era e ci stiamo avventurando in un territorio inesplorato.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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