11 novembre 2015 20:26

Ben due persone mi hanno twittato l’altro giorno per dirmi che Disappointing, il mio recente duetto con John Grant, sarebbe stato una sigla perfetta per un film di James Bond, e devo dire che mi sono sentita estremamente lusingata. È un grande complimento l’idea che tu possa aver fatto qualcosa di così elegante da non sfigurare su quei famosi titoli di testa. I film di Bond sono famosi per l’importanza che danno alla canzone della sigla, e spesso il lancio del film ruota anche intorno alla rivelazione del nome dell’artista che la interpreta.

A parte la selezione dei partecipanti a Eurovision – che più che una consacrazione è il bacio della morte per una carriera – non mi viene in mente nessun altro evento così incentrato sulla scelta di un cantante. A volte mi chiedo se il pubblico immagina tutti noi – i Cantanti – seduti accanto al telefono, in attesa di una telefonata che di solito non arriva. Per quanto mi riguarda credo di non avere la minima chance, anche se ci sono due elementi che giocano leggermente a mio favore: primo, la grande tradizione di voci femminili che hanno interpretato la sigla di Bond, da Shirley Bassey a Nancy Sinatra, a Lulu e a Carly Simon, passando per Sheena Easton, Tina Turner, Madonna e Adele; secondo, il fatto che di solito non è un pezzo rock, ma una ballata un po’ kitsch e sentimentale.

Un uomo da night club

Le rare volte che i produttori hanno optato per un pezzo rock, mi è sempre sembrato inadatto, soprattutto se interpretato da un cantante maschio. Nonostante le ambientazioni moderne, fondamentalmente Bond è un personaggio che appartiene a un’epoca precedente al rock. Con i suoi completi giacca e pantaloni e i suoi cocktail è un tipo alla Don Draper, e messo accanto a un gruppo di musicisti rock sembrerebbe a disagio come Don a una delle feste di Megan, impacciato e spaesato tra hippie barbuti che fumano erba. Un po’ come quando Frank Sinatra indossò una giacca con il collo all’indiana e una collana di perline per sposare Mia Farrow. Possiamo immaginare James Bond al casinò, non a un concerto rock: sa impugnare una pistola, ma sarebbe ridicolo con una chitarra elettrica.

Quindi, la canzone della sigla deve tenere conto di questo aspetto e inserirsi in una tradizione di pezzi da night club, intensi e appassionati ma un tantino commerciali. Per funzionare, un interprete maschile deve essere a suo agio in queste vesti. Scott Walker sarebbe stato perfetto, anche se alla fine la sua Only myself to blame non è più stata usata per Il mondo non basta. Era troppo languida e malinconica? Troppo vittimista? O così rassegnata che rischiava di fare apparire vecchio James Bond? Sam Smith – che, ci tengo ad aggiungere, era altrettanto adatto – ha dichiarato di aver dovuto correggere i testi della sua canzone Writing’s on the wall perché Sam Mendes e Barbara Broccoli temevano che la vulnerabilità del protagonista potesse fare apparire debole Bond.

Da qualche tempo c’è la tendenza a presentare Bond come un uomo tormentato, con un suo passato e un suo retroterra

E questo solleva un interrogativo: chi dobbiamo immaginare che stia cantando la canzone? Di chi sarà la voce che ascoltiamo? Spesso la sigla dei film di James Bond è elegante e seducente: potrebbe essere una Bond girl che la canta a James? O dobbiamo immaginarla – e questo mi sembra particolarmente vero per i titoli più recenti – come un’espressione diretta e rivelatrice della psiche e delle emozioni dello stesso Bond? Da qualche tempo c’è la tendenza a presentare Bond come un uomo tormentato, con un suo passato e un suo retroterra. La canzone della sigla ne ha di lavoro da fare.

Detto questo, sono appena stata a vedere Spectre e mi ha lasciato piuttosto indifferente. Ho sentito la mancanza di Judy Dench nel ruolo di M e di miss Moneypenny in veste di eroina d’azione, come in Skyfall. Senza di loro il film tornava a essere macho come una volta, anche se per fortuna Sam Smith ha evitato questa tendenza con i suoi cori vistosamente in falsetto. I titoli di testa funzionavano come un video pop – e non c’è da stupirsi visto che quel segmento è diretto dal regista di video Daniel Kleinman – immaginifico e indipendente, senza un nesso preciso con il film. E al centro, sulle note della canzone, non c’è Sam il cantante ma Daniel Craig l’attore, più impassibile che mai, mentre alle emozioni ci pensa il pathos splendidamente kitsch della canzone.

(Traduzione di Diana Corsini)

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