07 luglio 2017 15:33

All’inizio di giugno, mentre stava per essere assegnato il Baileys women’s prize for fiction, non vedevo l’ora di sapere chi sarebbe stata la vincitrice. L’anno scorso nello stesso periodo ero chiusa in una stanza con i miei colleghi giurati del Baileys, quindi so quanto sia dura. È stata un’esperienza rivelatrice.

Sono rimasta sconvolta dalla veemenza con cui gli altri possono dissentire dalla mia opinione su un libro. Eravamo persone cordiali e sicuramente educate, anche se pronte a difendere con passione i libri preferiti, e la prima lezione che ho imparato è che alla fine tutto si riduce a un gruppo di gente in una stanza che cerca di mettersi d’accordo.

Fai del tuo meglio per accontentare tutti, finché non salta fuori un vincitore e scopri che c’è un sacco di gente che ce l’ha a morte con te. Immaginavo che quello dei premi letterari fosse un mondo civile e raffinato ma vi assicuro che la situazione può diventare esplosiva. Alla cerimonia di premiazione dell’anno scorso, per esempio, uno dei nostri giurati è stato aggredito verbalmente dall’agente di una scrittrice che aveva perso. Poco dopo, sempre l’anno scorso, ho fatto parte della giuria del Forward poetry prize, presieduta dalla straordinaria poeta Malika Booker, e la rivista _P__rivate Eye_ ci ha accusato di essere troppo faziosi e di premiare solo le donne.

Fuori del campo di battaglia
Quest’anno ero nella giuria del Penderyn music book prize. L’annuncio della nostra rosa di candidati è apparso sul Guardian con il sottotitolo: “Nell’ampia selezione, Bruce Springsteen snobbato dai giurati, tra cui Tracey Thorn e Thurston Moore”. Ho riso tutto il giorno immaginandomi mentre telefonavo a Springsteen e gli dicevo: “Sai una cosa, Boss? Vaff****** tu e il tuo libro!”. I mezzi d’informazione hanno trasformato il premio in una battaglia, concentrandosi sui libri ignorati anziché su quelli scelti.

Il premio è andato a Walls come tumbling down di Daniel Rachel, di cui ho già scritto in questa rubrica, quindi invece di chiudere con una nota amara e una lamentela, tornerò alla bellezza e al senso dei premi, parlando dei tre libri che sono arrivati in finale.

La storia di un blues moderno, raccontata con amore da due donne: cosa si può volere di più?

Il mio preferito era This is grime di Hattie Collins e Olivia Rose, un ritratto onesto e rispettoso di quella scena musicale. Lasciando parlare direttamente i protagonisti, il libro mette in luce il contesto sociale del grime (o garage rap) affrontando questioni di razza, religione e genere. Ma soprattutto, a differenza di tanti altri testi a carattere storico, è contemporaneo ed è una testimonianza di quello che potrebbe essere stato l’ultimo movimento musicale underground in senso stretto. La storia di un blues moderno, raccontata con amore da due donne: cosa potete volere di più?

Ho trovato fantastico anche The rise, the fall, and the rise di Brix Smith Start. L’autrice è prodiga di aneddoti inediti su Mark E Smith e i Fall, che rendono il suo libro estremamente godibile: del resto, per scrivere un buon testo di musica bisogna avere soprattutto nuove storie da raccontare. Il suo punto di vista è quello dell’estranea: un’americana in Inghilterra e una donna nel mondo della musica indie. Le scene in cui Mark E Smith la introduce alla sua adorata Manchester sono imperdibili e spassose.

Nell’appartamento di Smith, Brix è sconvolta dall’assenza di un frigorifero: “Dove tieni il latte?”, ho chiesto. “Fuori della finestra”, ha risposto Mark. “Come sarebbe fuori della finestra?”.

Mark ha aperto la finestra annerita dal fumo, in fondo alla cucina, scoprendo un davanzale di cemento su cui stavano in precario equilibrio una bottiglia di latte, una busta di pancetta affumicata, un cartone di uova e una confezione di pane bianco in cassetta.

Restare a galla in un mondo caotico
E per finire c’è I’m not with the band di Sylvia Patterson, un ritratto idiosincratico e iconoclasta del mondo dell’industria musicale. Inframmezzata da dettagli della vita dell’autrice, è anche la storia di una persona che si sforza di restare a galla in un mondo caotico.

Patterson è bravissima a raccontare l’ascesa di una cultura delle celebrità diventata sempre più tossica. Vi lascio con questa citazione dal suo libro, in cui a un certo punto cerca di farsi una ragione dell’assennatezza di artisti come Ed Sheeran e Taylor Swift: “I ragazzi stanno ancora bene. Non somigliano per niente ai ragazzi di una volta. Come è sempre stato, da che mondo è mondo. E noi vecchi dobbiamo accettarlo, che ci piaccia o no”.

(Traduzione di Diana Corsini)

Questo articolo è uscito sul settimanale britannico New Statesman.

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