15 aprile 2021 17:29

Sono sul punto di scoprire che sensazione si prova a pubblicare un libro durante il lockdown, con le librerie chiuse, nessun festival letterario di cui essere ospite, nessun modo di incontrare i lettori né di firmare le loro copie.

Tuttavia, durante questo anno caratterizzato da questa difficilissima situazione, il mondo dell’editoria si è riorganizzato e ha messo in atto vari piani d’emergenza. Ultimamente sto rilasciando interviste su Zoom e i miei eventi saranno trasmessi in streaming online; invece dei libri sto autografando ex libris, foglietti di carta che saranno inseriti subito dietro alla copertina di ogni copia per farle diventare copie autografate.

Essendo 2.500, firmare questi ex libris non è un gioco da ragazzi, ma ne sto pian piano venendo fuori, un passo alla volta. Un giorno posto su Instagram una mia foto mentre li firmo e mi arriva la risposta seccata di un uomo che si lamenta perché al posto dell’ex libris avrebbe voluto la copia autografata. E quando gli spiego che a causa del lockdown è impossibile portare 2.500 libri a casa mia, firmarli e poi distribuirli nelle varie librerie, mi ritrovo a essere sgridata perché sono “scontrosa”. Al che, l’unica risposta possibile diventa: “Amico, se questo è il modo in cui rispondi a una donna che ti sta spiegando perché non puoi avere esattamente ciò che vuoi, ti avviso che il mio libro non ti piacerà”.

Quelle microaggressioni senza nome
Il titolo del libro è My rock ’n’roll friend e parla della mia amicizia di lungo corso con Lindy Morrison, batterista del gruppo australiano Go-Betweens. Lindy, femminista chiassosa, schietta e irremovibile, ha affrontato le difficoltà legate all’essere una donna nel mondo musicale e discografico degli anni ottanta, con tutte le conseguenze e l’isolamento che ciò comportava.

A quei tempi non avevamo ancora la parola per descrivere ciò che dovevamo subire spessissimo, oggi le chiameremmo “microaggressioni”. I tecnici del suono che ti sminuivano volutamente, ostentando stupore nel vedere che eri in grado di montarti la batteria da sola, o che sapevi esattamente come volevi posizionate le spie; oppure i giornalisti, che scrivevano molto più del tuo aspetto che del suono della tua musica; o i critici, sempre pronti a prendere alla leggera il tuo coinvolgimento e impegno.

Mentre lavoravo alla stesura del libro sono andata a rovistare tra le riviste musicali degli anni ottanta ed è stato come una rivelazione, anche per me che quegli anni li ho vissuti. Avevo dimenticato alcune cose che erano assolutamente normali ai tempi: i tempi in cui negli uffici di una rivista musicale trovavi le foto delle pin-up appese alle pareti, quando un giornalista di NME (New Musical Express) poteva scrivere, parlando di Lindy: “Beve, impreca ed è troppo minacciosa” concludendo con il giudizio: “No, non solo per una donna. Per CHIUNQUE!!!”.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

La seconda parte della frase è chiaramente una formula per cavarsi d’impaccio e una menzogna. Mai e poi mai un giornalista esperto di rock avrebbe detto “beve e impreca troppo” riferendosi a un musicista rock di sesso maschile. Per me e Lindy fu davvero avvilente scoprire che i cosiddetti musicisti e giornalisti “ribelli” potessero avere idee altrettanto bigotte e all’antica dei nostri genitori rispetto al comportamento adatto per una donna.

La complessità dell’amicizia
Ne parlavamo per ore e ore, bevendo vodka al mio tavolo di cucina e parlando dei libri che avevamo letto e i gruppi che avevamo visto dal vivo. Lei ha undici anni più di me e quando ci siamo conosciute io avevo vent’anni contro i suoi trentuno, quindi per me è stata un riferimento. Invidiavo la sua sicurezza e la sua esperienza, non capendo all’epoca quanto duramente se le fosse guadagnate. Negli anni ho imparato a riconoscere le somiglianze tra noi e anche ciò che ci rende diverse, e ho voluto scrivere dell’amicizia, di quanto sia complessa, di come in un rapporto spesso idealizziamo parte del carattere della persona amica per farla diventare come noi la vorremmo.

I Go-Betweens hanno avuto più successo in seguito che durante la loro carriera e oggi sono incensati come “grande gruppo che non ce l’ha fatta”. Su di loro sono stati scritti libri e girato un film-documentario; nella loro città, Brisbane, è stato dato il loro nome a un ponte. Eppure Lindy – la mia immensa stupenda megagalattica amica – è stata quasi cancellata dalla loro storia, o almeno trasformata in attrice secondaria.

È così che va a noi donne, no? A volte, addirittura, leggendo una storia puoi non ritrovarti più al suo interno, pure se sai benissimo che tu eri proprio lì. È un po’ come se ti sbattessero la porta in faccia due volte: la prima, quando ti viene reso difficile ogni passo; la seconda, quando nonostante tu la porta l’abbia buttata giù e a forza ti sia fatta strada per entrare, la storia non ne riporta nulla.

Ecco perché ho voluto riscrivere Lindy nella sua storia, restituirle il ruolo centrale nella sua vita: perché quello è il suo posto, il posto che merita. E questo vale per tutte noi.

(Traduzione di Maria Chiara Benini)

Questo articolo è uscito sul settimanale britannico New Statesman.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it