14 luglio 2017 10:26

Miguel mi racconta che vive ancora a casa con i suoi. E lo stesso vale per il suo gemello. Hanno 28 anni. Entrambi hanno cominciato a lavorare una decina di anni fa, ma non sono riusciti a risparmiare abbastanza da avere un loro appartamento. Barcellona è cara. I loro genitori vivono in periferia, vicino all’aeroporto. Miguel snocciola una serie di numeri, cifre sulla disoccupazione che appaiono magiche e irreali. In Spagna il 25 per cento della popolazione in età da lavoro è disoccupata, dice. Quasi tre quarti dei giovani spagnoli sono disoccupati. Quattro spagnoli su cinque di età compresa tra i 16 e i 29 anni vivono coi loro genitori. Questi numeri danno il senso delle loro vite.

Uno degli aspetti che più colpiscono della disoccupazione in Spagna è che un disoccupato europeo su quattro vive in questo paese. La Spagna è il cuore della disoccupazione europea.

Dall’altra parte del Mediterraneo, a Fez, in Marocco, Mohammed mi racconta che non può permettersi di sposarsi. Il suo lavoro gli fa guadagnare un po’, ma non abbastanza per risparmiare il denaro necessario, perché deve pagare le spese di tutti i giorni. Parliamo il giorno dopo l’Eid al fitr, alla fine di giugno. Né io né lui facciamo un accenno all’esplosione di violenza nella città di Al Hoceima, a nord di Fez, nell’area nota come Rif.

La stessa precarietà
Queste violenze hanno la loro origine in un incidente avvenuto nell’ottobre 2016, quando un venditore di pesce di nome Mouhcine Fikri è morto schiacciato in un compattatore di rifiuti, nel quale cercava di recuperare quasi mezzo quintale di pesce spada che gli era stato confiscato dalla polizia. Le manifestazioni di protesta si sono rapidamente moltiplicate in tutto il paese. Le persone erano in rivolta contro la hogra, gli abusi da parte della polizia, in cui si mescolano il disprezzo da parte delle istituzioni per la popolazione più povera e il sentimento di ingiustizia che questo provoca, ma anche contro disoccupazione, povertà e diseguaglianza. Il giorno dell’Eid la polizia si è scagliata contro i manifestanti. La risposta agli slogan che chiedevano posti di lavoro dignitosi e una vita migliore non è stata la comprensione, bensì la violenza della polizia.

Miguel mi racconta che la sua ragazza, Isabel, ha studiato all’università e ora lavora in uno degli alberghi turistici delle Ramblas. Il diploma universitario non le è servito. Lo stesso è accaduto a Mohammed. Entrambi devono fare i conti con la stessa precarietà che colpisce Miguel.

Mohammed, Miguel e Isabel, ai due lati dello stesso mare, incarnano una realtà comune: un futuro senza dignità che è frutto di un sistema politico ed economico iniquo.

Di recente la Banca mondiale ha presentato a Rabat (la capitale del Marocco) un rapporto sullo stato della disoccupazione nel paese. Il rapporto è la prova dell’indifferenza degli intellettuali che in tutto il mondo lavorano per istituzioni come la Banca mondiale. La gioventù marocchina, affermano infatti gli analisti della Banca mondiale, dovrebbe ridurre le sue ambizioni e accettare posti di lavoro meno remunerativi di quelli a cui mira. Dal momento che i giovani marocchini hanno ambizioni così elevate, osserva la Banca mondiale, e dal momento che sono “sopraffatti da un senso d’impotenza”, più del 28 per cento di loro desidera emigrare.

Ma in Spagna e in altri paesi europei, i marocchini incontrano persone come Miguel, Isabel e, attraverso di loro, anche la dura realtà della mancanza di posti di lavoro in Europa. Colectivo Ioé, un centro studi spagnolo, ha rilevato che il tasso di disoccupazione dei marocchini è cresciuto in maniera clamorosa, passando dal 16,6 per cento precedente all’attuale crisi economica al 50,7 per cento attuale. Un marocchino su tre in Spagna è disoccupato. I migranti marocchini stanno ormai tornando a casa. Ma la situazione che trovano nel loro paese è altrettanto rischiosa.

Un indicatore difettoso
All’inizio dell’anno, l’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) ha diffuso un rapporto che mostra le nuove e preoccupati tendenze all’aumento di persone disoccupate, che quest’anno diventeranno in tutto il mondo 201 milioni, un aumento di 3,4 milioni di persone rispetto all’ultimo anno rilevato. Ma si tratta di numeri probabilmente arrotondati per difetto. Sono solo un indicatore della realtà. È impossibile sapere esattamente quante persone sono disoccupate o impiegate solo saltuariamente.

Il numero delle persone che rimangono povere nonostante lavorino è destinato a crescere in maniera ancor più evidente, aumentando di cinque milioni nei prossimi due anni. L’Ilo riferisce che metà dei lavoratori dell’Asia del sud e due terzi dei lavoratori in Africa subsahariana vivono in condizioni di povertà estrema o moderata. Stiamo parlando di persone che hanno un lavoro. Ma questo non è un indicatore sufficiente a uscire dalla povertà.

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Il primo ministro del Marocco, Saad Eddine el Othmani, si è affrettato a promettere la creazione di progetti di sviluppo nel Rif per placare le proteste. “Dobbiamo soddisfare le attese dei nostri cittadini”, ha detto a fine giugno, dopo i disordini del giorno dell’aid. Ma questi strombazzati progetti di sviluppo non sono in grado di fornire posti di lavoro e speranza alla gente.

Più di un anno prima delle manifestazioni dello scorso anno il re Mohammed VI aveva inaugurato il progetto di sviluppo Al Hoceima Manarat al Motawasit. Il progetto prevede un aumento del turismo grazie a migliori infrastrutture e la creazione di strutture sanitarie e culturali. Niente di tutto ciò è oggi disponibile. Il turismo e il settore immobiliare non garantiranno un futuro sostenibile ai disoccupati e ai lavoratori poveri. Sicuramente i centri culturali e sanitari rappresentano un’importante aggiunta alla vita sociale della popolazione, ma non saranno sufficienti. Serve fare di più.

Una delle possibilità che rimangono ai disoccupati in difficoltà è l’emigrazione

La sindaca di Barcellona, Ada Colau, esponente della sinistra, si è invece impegnata a mettere un freno all’aumento del turismo nella sua città. La decisa crescita di questo settore ha fatto schizzare alle stelle i prezzi degli alloggi, penalizzando i lavoratori che risiedono in città. Non stupisce che Miguel e Isabel non riescano a trovare un appartamento. “Se non vogliamo fare la fine di Venezia”, ha detto Colau a El País, “dovremo imporre qualche limite a Barcellona”. Le limitazioni al turismo potrebbero servire a contenere i prezzi delle abitazioni, ma non danno una risposta ai problemi di povertà e disoccupazione.

Strade senza uscita
I migranti africani e sudasiatici vendono ciondoli in strada, disponendoli su teli che possono essere velocemente raccolti quando la polizia si fa viva per arrestarli. Questi uomini vengono chiamati manteros, perché il telo (manta) è il loro strumento più prezioso. Vogliono creare una cooperativa che abbia diritto di vendere in città. La buona volontà è un elemento necessario, ma la realtà degli interessi economici e immobiliari ostacola in molti modi il programma di Colau.

Una delle possibilità che rimangono ai disoccupati in difficoltà è l’emigrazione. Un’altra è entrare nelle economie sommerse come la produzione di droga o il traffico di armi ed esseri umani. Il deserto del Sahara dà una dimostrazione chiara di queste scelte. Da Gao (in Mali) ad Agadez (in Niger) fino a Sabna (in Libia) esiste un circuito che recluta tanti giovani come trafficanti, accompagnando altri giovani uomini e giovani donne lungo pericolose rotte che li conducono verso vane destinazioni. Sono tutti giovani che si accompagnano gli uni con gli altri verso una strada senza uscita.

Dei camion malconci partono da Gao verso le coste libiche. In una settimana di viaggio attraversano territori pericolosi controllati da uomini armati che fanno parte di bande rivali o di Al Qaeda. Una delle aree di Gao è nota come Cocainebougou, città della cocaina. Da qui partono carovane di coca colombiana che attraversano il deserto. Qui i posti di lavoro disponibili sono il bandito, l’autista, il camionista o lavoratore del sesso. La crescita economica è evidente: dappertutto circola denaro. Ma non c’è alcuna dignità. La durezza delle condizioni di vita è evidente nei volti di ciascuno.

Né Miguel né Isabel né Mohammed potrebbero fare fortuna qui. Non c’è futuro qui, solo un infinito e angoscioso presente.

Mohammed non pensa di emigrare. È felice di stare in Marocco. Quando gli chiedo cosa pensi dei marocchini che vanno in Europa, sorride. “Gli europei sono venuti in Marocco senza visto”, dice. È una frase che ho sentito molte volte. È un amaro ricordo della conquista coloniale. Parlando degli africani ridotti in schiavitù, Malcolm X diceva “non siamo sbarcati sulla roccia di Plymouth”, riferendosi alla località del Nordamerica dove sbarcarono i pellegrini inglesi, “è la roccia di Plymouth che è sbarcata su di noi”. I colonizzatori europei sono arrivati in Marocco senza visto, adesso tocca ai marocchini recarsi in Europa senza averne uno.

Ma i primi sono arrivati in punta di spada e hanno fatto conquiste con la forza. I secondi arrivano in condizione di grande vulnerabilità, tanto diseredati quanto le persone che incontrano in Europa. Persone come Miguel e Isabel.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito sul sito d’informazione Alternet.

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