14 giugno 2021 16:09

Il conto alla rovescia per le elezioni anticipate del 10 ottobre 2021 ha cominciato a scuotere l’arena politica in Iraq e si preannunciano nuove violenze. Le coalizioni etnico-confessionali si sono in gran parte sganciate dai loro blocchi tradizionali e hanno avviato movimenti e incontri per consolidare nuove alleanze.

La principale coalizione curda – formata dal Partito democratico del Kurdistan (Pdk) e dall’Unione patriottica del Kurdistan (Upk) – controlla l’esecutivo e il parlamento nel governo regionale del Kurdistan, e ha tradizionalmente giocato un ruolo significativo nel plasmare il governo centrale a Baghdad.

Ma per le prossime elezioni i due partiti hanno preso direzioni diverse. Il Pdk ha formato una nuova alleanza con il movimento del leader sciita Moqtada al Sadr. Insieme contano di conquistare gli oltre cento seggi necessari a formare il nuovo governo. Il Pdk vuole assicurarsi che il prossimo presidente iracheno provenga dal suo interno. Contemporaneamente, delegati di alto rango dell’Upk sono andati in visita a Baghdad per formare un’alleanza con Al Fateh, il partito guidato da Hadi al Amiri, vicino all’Iran. L’Upk vuole assicurarsi che l’attuale presidente Barham Saleh resti in carica.

Tre blocchi
La spaccatura tra i curdi sta incoraggiando i sunniti a impegnarsi per riportare uno dei loro candidati alla presidenza del paese. L’assenza di Iyad Allawi, sostenuto con forza fin dal 2005, è stata la principale novità nella frammentaria mappa elettorale dell’alleanza sunnita da cui sono emersi tre blocchi, tre liste guidate da imprenditori, uno dei quali è il presidente del parlamento in carica Mohammad al Halbousi.

Dalle elezioni del 2005 fino a quelle del 2014 le tre principali forze sciite dell’epoca (il Supremo consiglio islamico, il partito Dawa e il movimento sadrista), insieme ad altre formazioni minori, sono state riunite in una coalizione, l’Alleanza irachena unita, che nel gennaio 2006 ottenne 128 seggi su 275 totali. Ma come già accaduto nelle elezioni del 2018, pure quest’anno manca una larga intesa tra i partiti sciiti.

All’inizio di giugno sono anche arrivati due inviati iraniani: il comandante delle Forze Quds, Esmail Qaani, e il portavoce del ministero degli esteri, Said Khatibzadeh, con la missione di consolidare la coalizione elettorale sciita.

Sono tre gli elementi che, come in passato, influenzeranno il voto: potere, denaro e armi. Tutti e tre sono nelle mani dei principali partiti confessionali, e c’è da aspettarsi che la violenza giocherà un ruolo ancora maggiore. Fin dall’inizio delle proteste nell’ottobre 2019, più di 70 attivisti sono stati uccisi o hanno subìto attentati, mentre altre decine sono stati sequestrati. Per questo si assottigliano le opportunità per i candidati indipendenti, in particolare quelli emersi dalle proteste. Senza un clima di sicurezza, molti di loro scelgono di sostenere la campagna di boicottaggio del voto.

(Traduzione di Francesco De Lellis)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it