L’11 dicembre il nuovo primo ministro ad interim Mohammed al Bashir ha affermato che la coalizione ribelle a guida islamica radicale che ha rovesciato il regime di Bashar al Assad garantirà i diritti di tutte le confessioni religiose, invitando milioni di siriani in esilio a tornare nel paese.
In un’interivsta concessa al Corriere della Sera, Al Bashir ha riconosciuto “il comportamento sbagliato di alcuni gruppi islamisti”, che “manipolano l’islam per i propri fini”.
“Ma proprio perché siamo islamici garantiremo i diritti di tutti i popoli e di tutte le confessioni in Siria”, ha sottolineato all’indomani della sua nomina a capo del governo fino al 1 marzo 2025.
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La coalizione ribelle è guidata dal gruppo islamista radicale Hayat tahrir al Sham (Hts), l’ex branca siriana di Al Qaeda, che sostiene di aver abbandonato il jihadismo, anche se molti paesi occidentali, tra cui gli Stati Uniti, lo considerano ancora un gruppo terroristico.
Al Bashir ha invitato i siriani fuggiti all’estero – circa sei milioni di persone, un quarto della popolazione totale – a tornare a casa per “contribuire alla ricostruzione del paese”, dove sunniti, alawiti, cristiani e curdi convivono tra forti tensioni.
Negli ultimi giorni alcuni paesi europei, tra cui Germania, Austria e Regno Unito, hanno sospeso l’esame delle richieste di asilo presentate da cittadini siriani.
Devastata da una guerra civile che dura da più di tredici anni, che ha causato più di mezzo milione di morti, “la Siria è ormai un paese libero”, ha dichiarato Al Bashir.
Il giorno prima Abu Mohammed al Jolani, leader dell’Hts, aveva assicurato che “la Siria non sarà coinvolta in altri conflitti”.
Alcuni governi stranieri e le Nazioni Unite hanno preso atto dei segnali positivi inviati dalle nuove autorità siriane, sottolineando però che le parole dovranno essere supportate dai fatti.
Washington ha fatto sapere che “riconoscerà e sosterrà un futuro governo siriano che emerga da un processo politico inclusivo”, mentre l’Unione europea ha auspicato che la Siria non ripeta gli errori fatti da paesi come Iraq, Libia e Afghanistan.
Il Cremlino, grande sostenitore del regime di Assad, ha affermato di essere in contatto con le nuove autorità, in particolare per quanto riguarda il futuro delle due basi militari russe nel paese.
Israele, che nelle ultime quarantott’ore ha condotto centinaia di raid in Siria, è invece “determinato a non permettere ad alcuna forza ostile di stabilirsi vicino al confine”, come ha dichiarato il primo ministro Benjamin Netanyahu.
Il 10 dicembre il ministro della difesa israeliano Israel Katz ha riferito che, d’accordo con Netanyahu, ha ordinato all’esercito di creare una zona libera da armi nel sud della Siria.
Intanto, nel nord della Siria, dove i combattimenti tra forze curde e ribelli filoturchi hanno causato 218 morti in tre giorni, è stato raggiunto un accordo per un cessate il fuoco a Manbij, con la mediazione degli Stati Uniti.
L’11 dicembre alcuni membri della coalizione ribelle hanno incendiato la tomba dell’ex presidente siriano Hafez al Assad, padre del presidente appena deposto, nel suo villaggio natale nella regione occidentale di Latakia.