I n quel momento è diventato chiaro che il culmine della Brexit era stato raggiunto e che la marea si stava infrangendo contro uno sciagurato fallimento. Il 7 settembre la notizia che il Regno Unito sarebbe rientrato nel programma di cooperazione scientifica Horizon dell’Unione europea, dal valore di 81 miliardi di sterline (circa 94 miliardi di euro), anche se come paese associato, è stata accolta dall’entusiasmo generale. Un fatto sorprendente, soprattutto per il primo ministro Rishi Sunak, che per mesi aveva temporeggiato temendo una reazione della destra eurofobica. In realtà nessun sostenitore della Brexit si è lamentato per il fatto che Londra abbia abbandonato il suo piano B, il programma Pioneer da quattordici miliardi di sterline. Era ovvio che ogni polemica sarebbe stata respinta dall’intera comunità scientifica. Per essere autorevole, lasciando da parte le ambizioni da superpotenza, il Regno Unito deve far parte del programma di ricerca scientifica collaborativa più grande al mondo.

Questa decisione rientra tra i ripetuti dietrofront rispetto alle idee partorite dal trio conservatore formato dall’ex primo ministro Boris Johnson e dai suoi alleati Jacob Rees-Mogg e David Frost. Il primo passo indietro sono stati gli accordi di Windsor sull’Irlanda del Nord: accettare un ruolo di garanzia per la corte di giustizia europea – una delle proposte sulle quali Johnson aveva demolito il governo di Theresa May – ha permesso a Belfast di restare sia nel mercato unico dell’Unione sia in quello britannico. Dal 2019, facendo parte di entrambi, l’Irlanda del Nord ha avuto il tasso di crescita più alto di tutte le altre regioni del paese, al di fuori di Londra.

Per ridurre i costi aziendali, sostenere la crescita e tenere sotto controllo i prezzi, il Regno Unito deve adeguarsi a quello che vuole il suo grande e potente vicino, l’Europa

Ora i dietrofront si susseguono. Il Regno Unito non eliminerà entro Natale le quattromila leggi che avevano un qualche legame con l’Unione europea. Come mi ha spiegato un alto funzionario, un atto simile cancellerebbe le basi legali di gran parte della governance del Regno Unito. L’entrata in vigore del nuovo regime di controllo delle frontiere sulle importazioni di prodotti alimentari e vegetali dell’Unione, prevista per ottobre, è stata rinviata per la quinta volta. I ministri erano preoccupati che potesse creare inflazione. Per ridurre i costi aziendali, sostenere la crescita e tenere sotto controllo l’aumento dei prezzi il Regno Unito deve adeguarsi a quello che vuole il suo grande e potente vicino, l’Europa. Lo stesso vale per Horizon e la ricerca scientifica. Sunak ha esitato per mesi, ma la logica era stata inesorabile. E anche così ha cercato di dire che il nero è bianco. Che Horizon non è un programma dell’Unione ma un progetto mondiale che coinvolge Israele, la Norvegia e la Nuova Zelanda e presto, spera, anche Canada e Corea del Sud. Bugie: Horizon è un programma europeo aperto ad alcuni paesi associati, se accettano le regole del gioco di Bruxelles.

Sta emergendo uno schema. Dato che il governo non ha una direzione, è costretto ad ascoltare i ragionamenti fondati, perché non sa elaborarne uno, e la verità non riconosciuta è che la Brexit di Boris Johnson in realtà è autolesionista. La comunità scientifica si è comportata così con Horizon: il presidente della Royal society Adrian Smith, per esempio, ha accettato di sostenere la causa. La decisione di rientrare nel programma “segna un momento cruciale per la scienza del Regno Unito”, ha detto Paul Stewart, vicepresidente dell’accademia nazionale delle scienze mediche. Il piano B non era meglio, evidentemente.

L’industria e la finanza britannica dovrebbero prendere nota. È stato un bene che Stephen Morley, presidente della confederazione dell’industria metallurgica, abbia scritto una prefazione al ben argomentato rapporto sul settore manifatturiero dopo la Brexit, pubblicato nei giorni scorsi dalla commissione indipendente sulle relazioni tra Regno Unito e Unione europea. Circa il 46 per cento delle esportazioni manifatturiere del Regno Unito, per un valore di 169 miliardi di sterline, è destinato all’Unione europea. È importante per il settore manifatturiero come lo era per quello della ricerca scientifica che i costi burocratici siano minimizzati, i regolamenti armonizzati e l’accesso al mercato garantito.

Più si entra nel dettaglio, peggiore si rivela il tanto sbandierato accordo della Brexit di Johnson. L’uscita dall’Unione resterà appesa al collo del Partito conservatore per tutta la generazione futura: un’importante ragione della sua duratura impopolarità. Nel frattempo (laburisti per favore, segnatevelo) il settore manifatturiero ha bisogno di ottenere tutto quello per cui si è schierato.

Meglio ancora, il Regno Unito dovrà aderire nuovamente all’unione doganale e al mercato unico. Quando lo farà, ci sarà la stessa accoglienza che c’è stata per il ritorno nel programma Horizon. Il progetto della Brexit è esploso. Ora bisogna rimettere insieme i pezzi. ◆ fdl

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Questo articolo è uscito sul numero 1529 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati