04 ottobre 2023 09:59

Ormai le espulsioni di diplomatici tra paesi rivali sembrano diventate la norma. Nelle settimane successive all’invasione russa dell’Ucraina ci sono state decine di episodi simili. Ma tra paesi che collaborano queste prese di posizione sono più rare, oltre che chiaramente inopportune. Per questo motivo la decisione presa dall’India il 3 ottobre di espellere 41 diplomatici canadesi ha un carattere eccezionale, che la dice lunga sull’epoca in cui viviamo.

Attraverso questa decisione, New Delhi manifesta la propria rabbia per l’atteggiamento del primo ministro canadese Justin Trudeau, accusato di aver chiamato direttamente in causa il governo indiano nell’omicidio di un separatista sikh che aveva acquisito la cittadinanza canadese. Hardeep Singh Nijjar è stato ucciso a colpi di pistola il 18 giugno in Canada. Ottawa sembra avere intercettazioni che implicherebbero la partecipazione dei servizi di sicurezza indiani.

Da quando Trudeau ha lanciato le sue accuse, la tensione non ha smesso di aumentare. Il primo ministro indiano Narendra Modi ha negato e ha contrattaccato, tirando in causa la politica di asilo canadese nei confronti di quelli che definisce “terroristi del Khalistan”, il nome dello stato indipendente sikh sognato da alcuni adepti della religione. Modi vuole far pagare al Canada il prezzo del suo onore ferito.

Un peso maggiore
La vicenda evidenzia due fenomeni. Il primo, alla luce del nuovo contesto internazionale, è l’affermazione identitaria delle potenze emergenti guidate da uomini forti, spesso illiberali e a volte del tutto autoritari. L’India e Modi fanno parte di questo gruppo.

Di recente New Delhi si è riavvicinata all’occidente, come dimostrano i viaggi del premier a Washington e Parigi negli scorsi mesi. Ma allo stesso l’India non sopporta le critiche o le “lezioni” da parte degli “amici” occidentali.

Il secondo fenomeno è la messa in discussione del principio stesso di diritto d’asilo. Lo spirito come cui Modi contesta al Canada l’accoglienza degli esiliati sikh è lo stesso che ha spinto il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan a sottoporre la Svezia a un vero e proprio ricatto affinché gli consegnasse gli esiliati curdi in cambio dell’entrata del paese nella Nato (al momento la questione tra i due paesi, teoricamente alleati, non è ancora risolta).

Di nuovo c’è che le potenze medie hanno acquisito un peso e un’autonomia che gli permettono di farsi sentire, e a volte di prevalere. Un buon esempio di questa dinamica è la vicenda Khashoggi, il giornalista saudita in esilio negli Stati Uniti e assassinato nel consolato del suo paese a Istanbul, in Turchia. Le inchieste hanno dimostrato il coinvolgimento del leader del regno, il principe ereditario Mohammed bin Salman, eppure, a cinque anni dalla morte di Khashoggi, Bin Salman è uno degli uomini più potenti del mondo. Qualsiasi tentativo di ostacolarlo, compreso quello del presidente degli Stati Uniti, è fallito.

Oggi Trudeau si trova intrappolato, secondo alcuni a causa della sua ingenuità. Il meno che si possa dire, infatti, è che il primo ministro canadese abbia sottovalutato l’evoluzione del mondo e il cambiamento nei rapporti di forza. Il silenzio degli altri paesi occidentali è eloquente: nessuno ha commentato questo faccia a faccia tra la potenza emergente indiana e un Canada che crede nello stato di diritto. Il confronto è palesemente squilibrato.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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