09 giugno 2018 09:07

“Questo è un fatto. E i fatti sono la cosa più ostinata del mondo”.
Il maestro e Margherita, Michail Bulgakov

“Una mezza verità è spesso una grande bugia”.
Benjamin Franklin

Alle sette di mattina le strade che portano dal centro di Mosca all’aeroporto di Šeremetevo non sono ancora invase dal traffico. Dal sedile posteriore dell’auto mi sporgo in avanti per ascoltare meglio e per essere sicuro che il registratore sia puntato nella giusta direzione. Accanto all’autista c’è Sergej Markov, politologo fedelissimo al Cremlino. Sta andando a Soči per un convegno sul quarto mandato di Vladimir Putin alla presidenza della Federazione russa, inaugurato ufficialmente un mese e mezzo dopo il successo elettorale del 18 marzo. L’unico modo per intervistarlo era accompagnarlo a prendere l’aereo e approfittare di quest’ora scarsa di viaggio.

Già deputato di Russia Unita, il partito di Vladimir Putin, professore di scienze politiche all’Università statale di Mosca per le relazioni internazionali (Mgimo), fucina della classe dirigente del paese, e presenza costante nei talk show politici della tv russa, Markov indossa pantaloni neri e una polo nera. Il completo scuro è riposto nel porta abiti e attaccato allo zaino c’è l’immancabile nastro di san Giorgio, diventato simbolo dei combattenti in Donbass e dei nazionalisti russi. Appena l’auto parte si volta verso di me: “Se vuole possiamo cominciare subito, il tempo non è molto”.

Mandato diverso
Comincia così la versione del Cremlino. Un distillato senza compromessi, espresso in maniera chiarissima e con un piglio estremamente determinato, del punto di vista di Mosca sulle vicende globali. Quello che pensa l’establishment russo, che si ascolta nei programmi della tv Russia today, che si legge sul sito web Sputnik. E che in Italia sembra far presa su una fetta sempre più larga dell’opinione pubblica.

“Il nuovo mandato di Putin sarà diverso dagli altri”, afferma Markov, “ma avrà una caratteristica in comune con quello appena concluso: la difesa della Russia, che è vittima di un guerra ibrida condotta dai paesi occidentali. Come successe all’inizio dell’ottocento con l’invasione napoleonica e nel 1941 con l’attacco della Germania nazista, oggi il paese è vittima dell’aggressione dell’Europa e degli Stati Uniti. Forse i metodi non sono barbari come quelli di Adolf Hitler, ma l’obiettivo è lo stesso: dominare la Russia e dividerla, come è stato già fatto dopo il crollo dell’Unione Sovietica”.

Poche frasi che racchiudono la sintesi perfetta della strategia cavalcata dal Cremlino negli ultimi anni: Putin è il difensore della nazione, tiene unito il paese, ne amplia i confini, riafferma la sua statura internazionale, e lo protegge dalle influenze e dalle minacce esterne. È la lezione ripetuta dalle tre grandi tv del paese, che alimenta il ritorno del nazionalismo e che di fatto è il fondamento dell’enorme popolarità del presidente.

Il cambio di strategia
Secondo questa retorica, la presunta aggressione occidentale è anche il motivo del nuovo paradigma di sviluppo scelto da Mosca. “Nei primi anni al potere”, dice Markov, “Putin aveva cercato di seguire il modello di Pietro il grande: la modernizzazione del paese doveva avvenire con la collaborazione dell’occidente. Noi avremmo messo a disposizione le materie prime, i paesi occidentali le tecnologie e gli investimenti. Ma dopo l’attacco dell’occidente, che ha deciso di calpestare ogni principio etico e giuridico, ogni senso di giustizia e di libertà, Putin ha capito che questo modello non poteva funzionare. Serve un progetto diverso, e bisogna accelerare la crescita economica. L’altro obiettivo del quarto mandato del presidente sarà mettere in piedi un nuovo sistema di potere per consentire la transizione dopo la sua uscita di scena, nel 2024”.

L’autista annuisce ma rimane in silenzio, e Markov sembra non voler tralasciare nessuno degli argomenti cari al Cremlino. Nel “mondo secondo Putin” ogni tassello ha un ruolo preciso. Come la crisi ucraina. “La rivolta di Maidan è stata un golpe, pensato, organizzato e condotto dai servizi segreti statunitensi, che si sono serviti dei nazionalisti ucraini, dei politici ucraini e della rabbia dei cittadini ucraini. Oggi a Kiev non c’è un governo, ma una giunta golpista, fatta da criminali di guerra. Per mantenere il potere, la leadership ucraina ricorre a tre espedienti: il terrorismo, la propaganda, simile a quella del nazista Goebbels, e l’immorale sostegno dei paesi occidentali”.

E l’annessione della Crimea? Era già stata pianificata da Mosca, come sembra evidente, a dimostrazione che la Russia non ha mai accettato l’idea di un’Ucraina sovrana e indipendente? O è stata decisa dopo lo scoppio della crisi?

“Innanzitutto non si può parlare di annessione, un termine negativo. La Russia ha salvato la Crimea dai neonazisti. Inizialmente il Cremlino voleva solo aiutare la penisola a conquistare l’indipendenza da Kiev, ma le richieste degli abitanti di far parte della Federazione russa sono state così pressanti, soprattutto da parte delle élite, che alla fine Putin ha deciso di prendere la regione sotto il suo controllo”. Imperialismo riluttante, potremmo definirlo. E pazienza per le persecuzioni nei confronti dei tatari di Crimea contrari alla sovranità russa e contro i dissidenti che non l’hanno mai voluta riconoscere, come il regista Oleg Sentsov, condannato a vent’anni di carcere nel 2015 con accuse pretestuose di terrorismo, in sciopero della fame dalla metà di maggio di quest’anno.

Secondo questa versione dei fatti, l’annessione di una regione di un paese sovrano, avvenuta dopo un’occupazione militare mai dichiarata e un referendum quantomeno improvvisato, usando lo spauracchio del nazismo, diventa un trionfo della democrazia e della generosità dei russi. E l’aggressore che fomenta un conflitto in terra straniera – come hanno fatto i russi nel Donbass ucraino – si trasforma in liberatore. È la stessa logica per cui sono ribaltate e rispedite al mittente le accuse di avere dichiarato una guerra ibrida ai paesi occidentali, fatta di propaganda, ciberattacchi e intromissioni nelle elezioni.

Ovviamente anche sull’abbattimento dell’aereo malese Mh17, precipitato con 298 persone a bordo nel luglio del 2014 in una zona dell’Ucraina orientale sotto il controllo degli indipendentisti filorussi, Markov ripete senza esitazioni la ricostruzione del Cremlino, secondo cui l’indagine internazionale del Joint investigative team, giunta alla conclusione che l’aereo malese è stato abbattuto da un missile Buk in dotazione all’esercito russo, “ha usato questi quattro anni per falsificare le prove e dimostrare che la Russia è uno stato criminale. Ma dietro all’abbattimento del boeing malese c’è un piano delle autorità ucraine per far ricadere la colpa sugli antifascisti del Donbass. Mosca non ha potuto prendere parte ai lavori del team investigativo internazionale, in cui erano presenti perfino gli ucraini. Non solo non si è mai cercato di mettere in piedi un organismo d’indagine indipendente, ma ai russi è sempre stata negata la possibilità di partecipare alle indagini e di essere informati sui fatti”.

Souvenir di Vladimir Putin venduti nella stazione della metropolitana Ochotnyj Rjad, Mosca, 4 maggio 2015. (Stanislav Krupar, Laif/Contrasto)

Peccato che nel luglio del 2015 Mosca abbia messo il veto a una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu che prevedeva l’istituzione di un tribunale indipendente per individuare i responsabili del disastro. Dopo il voto l’allora ambasciatore russo all’Onu, Vitalij Čurkin, spiegò che non c’erano garanzie sull’imparzialità dell’indagine, mentre qualche settimana prima Putin aveva definito l’iniziativa prematura e controproducente.

Tre anni dopo, la sola idea di poter attribuire alla Russia un simile crimine rimane inimmaginabile per le autorità di Mosca, perché “riconoscere che il Cremlino è responsabile per la morte di così tante persone, anche se involontariamente”, ha scritto Matvej Ganapolskij sul sito Eco di Mosca, “instillerebbe nella testa dei russi un dubbio terribile: e se Putin non fosse infallibile? Se fosse anche lui capace di sbagliare?”.

La Siria e l’Italia
Mentre ci avviciniamo a Šeremetevo, le parole di Markov non sembrano lasciar spazio a un’ipotesi simile. La Russia è infallibile. E anche in Siria avrebbe agito nel rispetto del diritto internazionale, per la pace globale e per legittimo interesse nazionale: “I motivi per cui Mosca è intervenuta in Siria sono diversi. Innanzitutto il Cremlino ha cercato di riallacciare i rapporti con l’occidente combattendo contro i nemici dell’occidente stesso, i terroristi islamici. Il secondo obiettivo era interrompere questa catena di cambi di regime che sarebbe finita con un attacco alla Russia. Putin ha anche approfittato della debolezza occidentale e degli errori fatti dagli Stati Uniti e dall’Europa in Medio Oriente per riconquistare un posto di primo piano sullo scacchiere internazionale. E infine i russi avevano bisogno di testare i loro armamenti e preparare l’esercito a difendere il paese dalle future mosse dell’aggressore occidentale. Del resto per anni la stampa e gli esperti statunitensi ed europei hanno ripetuto che l’esercito russo era stato indebolito dal crollo dell’Unione Sovietica, che non era più quello di un tempo. Un attacco militare, magari alla flotta del mar Nero a Sebastopoli, a un certo punto poteva essere possibile. Ma con l’intervento in Siria Putin ha fatto capire al mondo che l’esercito russo non è affatto debole. E ha salvato l’Europa e il mondo da un potenziale scontro tra la Nato e la Russia”.

La grande guerra patriottica, il mito degli ucraini nazisti, la Russia baluardo di civiltà: ecco la nuova mitologia putiniana

Siamo arrivati. Dopo avermi confessato di non credere che il nuovo governo italiano avrà il coraggio di annullare le sanzioni alla Russia, Markov si precipita verso il gate. Con l’autista ci prepariamo per tornare in città, questa volta in un traffico degno dei proverbiali ingorghi moscoviti. Mentre siamo imbottigliati sotto un sole primaverile insolitamente caldo, Markov chiama l’autista, che mi passa il telefono.

“Mi aveva chiesto delle sanzioni. Ho qualche minuto per parlarne”. Prima ammette che i provvedimenti occidentali hanno fatto saltare il progetto di sviluppo inizialmente immaginato da Putin, ma poi ne minimizza la portata. “Bisogna ricordare che la Russia è un grande paese, con enormi risorse e un’economia di proporzioni significative, e che le sanzioni non sono applicate da tutto il mondo, ma solo dagli Stati Uniti e dai loro alleati. Soprattutto, però, la reazione occidentale ha avuto l’effetto di compattare la società russa, convinta che certe misure siano profondamente sbagliate e che Mosca sia dalla parte della ragione. La conferma che l’occidente è nel torto, per i russi arriva proprio dall’Ucraina, dove la libertà e la democrazia sono state calpestate e le strade sono infestate da bande di neonazisti che uccidono gli oppositori del regime. Tutto questo ha reso il paese più patriottico e più forte di fronte alle aggressioni esterne, come ai tempi della vittoria su Hitler e sul fascismo”.

Vecchi fantasmi che ritornano: la gloria delle imprese della grande guerra patriottica, il mito degli ucraini nazisti, la Russia baluardo di valori e civiltà contro il corrotto occidente. Gli ingredienti della nuova mitologia putiniana ci sono tutti.

Ci salutiamo. Auguro a Markov buon viaggio. Poco prima del raccordo che circonda la città, l’Mkad, si vedono tre imponenti cavalli di Frisia: le tre enormi barriere sono un monumento che segna il punto fino al quale si spinsero i carri armati tedeschi nella battaglia di Mosca nel novembre del 1941, durante la seconda guerra mondiale. Dal centro della città saranno una manciata di chilometri. Si dice che i fragori della guerra si sentissero fino alla piazza Rossa. Alla fermata Kutuzovskaja – intitolata a un altro difensore della nazione ai tempi dell’invasione napoleonica – prendo la metropolitana della nuova linea circolare inaugurata un paio d’anni fa. Tutte le informazioni sono tradotte in inglese e le indicazioni per i turisti sono ovunque. Tra pochi giorni qui a Mosca cominciano i Mondiali di calcio.

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