14 dicembre 2017 12:53

Appena maggiorenne D.A. ha lasciato il paesino vicino a Dakar in cui è nato: una mattina ha arrotolato le sue cose in uno zaino e si è chiuso la porta di casa dietro le spalle. Orfano di entrambi i genitori fin da bambino, è cresciuto con una donna del villaggio che si è presa cura di lui. Quando lei è morta, D.A. ha deciso di lasciare il villaggio affacciato sull’oceano Atlantico per provare a raggiungere Tripoli, cercare lavoro, guadagnare i soldi necessari per attraversare il Mediterraneo e arrivare in Europa.

A Tripoli D.A. ha vissuto per un anno, lavorando come giardiniere senza essere pagato, poi una sera è stato aggredito da un gruppo di uomini in strada, è stato sequestrato e portato in una prigione a Zawia. Della prigione ricorda soprattutto la vicinanza con i corpi dei compagni, ammassati uno accanto all’altro, e la violenza dei secondini. “Chiedevamo da bere e ci picchiavano, chiedevamo da mangiare e ci picchiavano”. Poi hanno cominciato a prenderlo a botte e a torturarlo senza motivo, per chiedere un riscatto, non credevano che fosse orfano. Così mentre lo picchiavano volevano che chiamasse la famiglia al telefono. Le torture sono durate due mesi, poi D.A. è riuscito a scappare insieme a un gruppo di compagni. “Per tre giorni abbiamo camminato per raggiungere la città più vicina, senza mangiare”, ricorda.

Quando è uscito di prigione, D.A. ha pagato un mediatore senegalese per salire su un gommone e attraversare il Mediterraneo. È stato soccorso da una nave della guardia costiera italiana, è arrivato in Sicilia, quindi è stato trasferito nel centro di accoglienza straordinaria (Cas) Il castagno, alla periferia di Napoli. E lì ha cominciato la sua nuova vita.

Questa sentenza è particolarmente grave perché non riconosce le violenze subite dal ragazzo in Libia

Dopo otto mesi dal suo arrivo, ha ottenuto finalmente l’appuntamento con la commissione territoriale di Salerno che ha esaminato il suo caso, ma dopo ancora qualche mese la sua domanda di protezione internazionale è stata bocciata. La commissione territoriale – l’autorità competente per le domande di asilo – non ha concesso al richiedente asilo senegalese neppure la protezione umanitaria, cioè un permesso della durata massima di due anni che viene dato di solito a chi è stato vittima di violenza o di violazioni dei diritti umani, e gli ha negato lo status di rifugiato.

Nella motivazione del provvedimento, la commissione territoriale ha spiegato che il paese di origine del richiedente asilo è considerato un paese sicuro e inoltre che “le vicende accorse in Libia o in qualsiasi altro stato diverso da quello di provenienza e in cui il richiedente asilo debba essere rimpatriato sono irrilevanti agli effetti delle domande di asilo”.

D.A., insieme all’avvocata Margherita D’Andrea, ha impugnato il caso davanti al tribunale di Napoli, che però l’8 novembre 2017 ha confermato il diniego, senza ascoltare la testimonianza del ragazzo senegalese e senza nemmeno far uso della videoregistrazione dell’udienza davanti alla commissione, come previsto dal decreto Minniti-Orlando sull’immigrazione. La commissione territoriale, infatti, non ha ancora le telecamere per garantire le videoregistrazioni previste dal decreto. “C’è molta giurisprudenza che dice che chi ha subìto maltrattamenti, oppure trattamenti inumani e degradanti, è in una situazione di vulnerabilità e questo per noi è un presupposto per il riconoscimento della protezione umanitaria”, spiega Margherita D’Andrea.

In seguito alla seconda risposta negativa, questa volta da parte del tribunale, gli avvocati dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) Margherita D’Andrea e Antonello Ciervo hanno deciso di impugnare la sentenza davanti alla cassazione: per i due avvocati infatti il caso rappresenta in maniera esemplare le contraddizioni contenute nel decreto numero 13 del 17 febbraio 2017, convertito in legge il 13 aprile, anche noto come decreto Minniti-Orlando sull’immigrazione, entrato in vigore nell’agosto del 2017.

Il ricorso
Per D’Andrea e Ciervo questo pronunciamento del tribunale è particolarmente grave, perché non riconosce le violenze subite dal ragazzo senegalese in Libia e in generale le diffuse violazioni dei diritti umani che sono state documentate e denunciate da molte agenzie internazionali all’interno delle carceri libiche.

“Stando a quanto affermato dalla commissione territoriale e dal tribunale il ragazzo potrebbe essere tranquillamente respinto in Libia, un paese che è su tutte le prime pagine dei giornali per la gravità delle violazioni dei diritti umani”, spiega Antonello Ciervo. Per gli avvocati dell’Asgi inoltre questo caso è emblematico del funzionamento del decreto Minniti-Orlando.

“Un decreto legge dovrebbe entrare subito in vigore, perché viene approvato solo in casi straordinari, invece questo decreto è entrato in vigore sei mesi dopo la sua approvazione. E a questo punto mi chiedo se ci sono i presupposti per la sua approvazione perché non c’è nessuna situazione straordinaria a cui far fronte”, argomenta Ciervo. Inoltre, secondo gli avvocati dell’Asgi che il 14 dicembre hanno presentato il ricorso davanti alla corte di cassazione di Roma, il decreto Minniti-Orlando non garantisce le condizioni stabilite dalla legge sul giusto processo per i richiedenti asilo.

Molte commissioni territoriali non sono ancora dotate di telecamere per la videoregistrazione

“La cancellazione del secondo grado di giudizio, l’impossibilità di fornire alcune prove direttamente a favore della difesa e infine il fatto che il ragazzo senegalese che chiedeva l’asilo non sia stato ascoltato in udienza dal giudice – che in questo caso non ha potuto neppure vedere la videoregistrazione dell’udienza della commissione territoriale – rappresentano secondo noi una violazione del principio del contraddittorio e del giusto processo e provocano uno squilibrio tra le parti”, spiega Ciervo.

Un altro motivo d’illegittimità riguarda il fatto che non sono stati approvati dei regolamenti attuativi del decreto Minniti-Orlando, per cui molte commissioni territoriali non hanno le telecamere per la videoregistrazione delle udienze e quindi il giudice di primo grado non è nella condizione di usare la videoregistrazione, come nel caso di D.A. e del tribunale di Napoli. L’Asgi ha finora presentato due ricorsi, ma i casi controversi potrebbero essere molti di più. La sentenza della corte di cassazione è attesa per il febbraio del 2018. Se la cassazione desse ragione all’Asgi dovrebbe intervenire la corte costituzionale, che a quel punto non si esprimerebbe prima dell’autunno del 2018.

E se fosse incostituzionale?
Da quando il decreto è entrato in vigore, nell’agosto del 2017, le commissioni territoriali italiane hanno esaminato 28.482 domande di asilo, una media di settemila richieste d’asilo al mese. Di queste, più del 60 per cento ha ricevuto una risposta negativa: la maggior parte sarà impugnata e portata in tribunale, ma nel caso di un secondo parere negativo da parte dell’autorità giudiziaria non si potrà ricorrere in appello, come nel caso di D.A., a causa dell’abolizione del secondo grado di giudizio previsto dal decreto Minniti.

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Per il professore di diritto costituzionale dell’università di Milano Paolo Bonetti, il ricorso è “ben scritto e fondato”, ma alcune argomentazioni sono deboli. Il giurista si aspetta, tuttavia, dalla cassazione, che non si esprimerà prima di febbraio, un’interpretazione della legge in linea con la costituzione. “Molti giudici della corte costituzionale sono stati ascoltati prima che il decreto fosse trasformato in legge e quindi è possibile che la cassazione, come spesso avviene, dia un’interpretazione costituzionalmente conforme della norma”, spiega Bonetti. “La cassazione per esempio potrebbe argomentare e prescrivere che ci sia sempre il colloquio diretto con il richiedente asilo nel processo di primo grado”.

Tuttavia se questo non avvenisse sarebbe un fatto eclatante. Il punto più critico della legge è proprio l’uso dello strumento del decreto da parte del governo: “I decreti devono contenere disposizioni d’immediata applicazione: poiché il decreto Minniti prevede che moltissime sue disposizioni entrino in vigore sei mesi dopo, è evidente che mancano i presupposti di urgenza. Basterebbe che la corte accogliesse il ricorso su questo punto, per determinare l’incostituzionalità della legge e tutto il resto decadrebbe”, spiega Bonetti. Se si dovesse entrare nel merito invece, secondo il costituzionalista, è facile che la corte non dia seguito al ricorso: “Per esempio il secondo grado non è previsto dalla costituzione. La sua abolizione diventa però un’aggravante se fosse verificata una violazione del contraddittorio tra le parti, del giusto processo e del diritto alla difesa”. Una cosa è certa: del caso di D.A. nei prossimi mesi continueremo a parlare.

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