09 agosto 2019 18:24

L’8 agosto per la prima volta nella storia dei soccorsi in mare, 89 migranti dei 121 soccorsi in due diverse operazioni dalla nave spagnola Open Arms nelle acque internazionali al largo della Libia hanno espresso la volontà di fare richiesta di asilo in Europa, mentre sono ancora a bordo della nave umanitaria. L’organizzazione non governativa spagnola Proactiva Open Arms ha consegnato queste richieste all’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) e alla Centrale operativa della guardia costiera di Roma, in una mossa senza precedenti che potrebbe portare per vie legali al superamento del divieto di sbarco imposto dalle autorità italiane, dopo la conversione in legge del cosiddetto decreto sicurezza bis, che criminalizza il soccorso in mare e impedisce alle navi umanitarie di ricevere un porto di sbarco.

I profughi – che provengono da Eritrea, Etiopia, Somalia e Costa d’Avorio – sono bloccati da otto giorni al largo di Lampedusa e non hanno ricevuto l’autorizzazione a sbarcare né in Italia né a Malta, nonostante i numerosi appelli della capomissione Anabel Montes Mier che ha denunciato una situazione critica a bordo. Il 9 agosto sono stati portati rifornimenti e a bordo è salito anche l’attore Richard Gere.
Nel frattempo la nave norvegese Ocean Viking delle ong Medici senza frontiere e di Sos Méditerranée ha soccorso 85 persone, tra cui quattro bambini, a sessanta miglia dalle coste libiche. “Alcune donne hanno raccontato storie di violenza e di stupri, avevano sul corpo i segni di queste inenarrabili violenze”, ha raccontato Valentina Brinis, responsabile dei progetti di Proactiva Open Arms.

Richard Gere sulla Open Arms, il 9 agosto del 2019. (Proactiva Open Arms)

“A bordo si è creato un clima tale per cui le persone si sono aperte e hanno raccontato le loro storie, ci siamo resi conto così che si trattava di persone che avevano bisogno di protezione in base alle leggi internazionali come la Convenzione di Ginevra del 1951”, continua Brinis. Per questo gli operatori legali e gli avvocati dell’organizzazione hanno raccolto le richieste di asilo da parte dei migranti e le hanno presentate all’Unhcr e all’Mrcc di Roma.

Per la prima volta su una nave umanitaria i migranti hanno sottoscritto un documento in cui chiedono di poter fare domanda di asilo: questo procedimento apre una serie di questioni di diritto internazionale. “Di solito queste persone erano considerate soltanto naufraghi, invece sono in realtà dei richiedenti asilo. Questo significa che se fossero riportati indietro in Libia si tratterebbe di una violazione del principio di non respingimento sancito dalla Convenzione di Ginevra, ma anche dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo”, afferma l’operatrice, che insieme all’avvocato Arturo Salerni ha presentato le richieste. L’ong sottolinea che la richiesta dovrebbe sollecitare l’assegnazione di un porto sicuro di sbarco per persone che ne hanno diritto e che sono particolarmente vulnerabili.

Ma il ministero dell’interno italiano ha risposto con una nota dicendo “che la Open Arms è spagnola” e in base alle convenzioni internazionali “è dovere dello stato di bandiera prendersi cura di coloro che si trovano a bordo, dopo essere stati raccolti o trasportati in acque internazionali: gli esperti del ministero dell’Interno stanno valutando la possibilità di richiamare pertanto la Spagna - anche in ambito giurisdizionale - al rispetto degli obblighi internazionali facendosi carico delle 89 persone”.

L’organizzazione ribadisce di non essere interessata ad arrivare per forza in Italia, ma di voler chiedere con insistenza un porto sicuro di sbarco per i richiedenti asilo a bordo, tra loro 32 minori. “L’organizzazione aveva depositato un ricorso al tribunale di Palermo, competente su questa materia”, spiega l’ong. Anche il garante per i diritti delle persone private della libertà personale Mauro Palma ha sollecitato un intervento delle autorità italiane. Secondo Palma “la situazione in atto può e deve essere vista come ambito di competenza giurisdizionale del nostro paese, nonostante la sua presenza in acque internazionali”, in virtù del divieto d’ingresso nelle acque nazionali notificato dalle autorità italiane il primo agosto, per effetto del decreto sicurezza bis.

“L’interdizione all’ingresso costituisce esercizio della sovranità e implica che ai migranti soccorsi e a bordo della nave debbano essere riconosciuti tutti i diritti e le garanzie (divieto di non respingimento, diritti dei minori stranieri non accompagnati, diritto di protezione internazionale) che spettano alle persone nei confronti delle quali l’Italia esercita la propria giurisdizione”, ha scritto Palma in una nota.

A partire da queste premesse il garante ha denunciato “il duplice rischio di violazione del principio di non respingimento e del divieto di espulsioni collettive” da parte dell’Italia. E inoltre ha sottolineato che il divieto di ingresso può essere visto “come azione di respingimento collettivo delle persone soccorse, se esercitato senza un preventivo esame delle condizioni individuali delle stesse”.

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