17 maggio 2018 16:49

Caro dottore,
come si fa ad avvicinarsi al mestiere del bibliopatologo? Mi sembra assurdo non ci siano corsi in tutte le università e che il potere catartico della letteratura sia spesso sottovalutato. Credo che se imparassimo a leggere e a interpretare quello che leggiamo vivremmo tutti molto meglio, sfruttando le infinite possibilità dei libri, capolavori e meno.
–Martina

Cara Martina,
il corso universitario in bibliopatologia ha una sua sede naturale: la facoltà di irrilevanza comparata progettata nei primi anni ottanta da Umberto Eco e suddivisa nei quattro dipartimenti di ossimorica, adynata (o impossibilia), bizantinica e tetrapiloctomia.

Nel dipartimento di ossimorica si insegnano materie autocontraddittorie come le Istituzioni di rivoluzione o gli Elementi di senescenza dei momenti aurorali; i professori del dipartimento di adynata si dedicano invece a dottrine impossibili, come l’urbanistica tzigana o la fonetica del film muto; quelli di bizantinica amano perdersi nel dettaglio e studiare, per esempio, la geografia del Vaticano o la storia delle colonie del principato di Monaco; nel dipartimento di tetrapiloctomia, infine, è impartita una solida istruzione in discipline quali la poziosezione (arte di tagliare il brodo) o la idrogrammatologia (tecnica della scrittura su superfici idriche). Ecco, la bibliopatologia potrebbe trovare cittadinanza in quest’ultimo dipartimento, il cui nome, tetrapiloctomia, indica l’arte di tagliare il capello in quattro. E cos’altro facciamo voi e io, da due anni, se non spaccare capelli – anche in sedici o in trentadue, se ne abbiamo voglia?

La cosa non è ben vista, di questi tempi. Forse non sai che la “casta dei bibliopatologi” ha già dovuto subire gli insulti e gli sberleffi di certi autoproclamati difensori del popolo, i nuovi sanculotti o fanculotti digitali. Non passa settimana senza che qualcuno di loro, armato di picca, non venga a molestare il nostro innocuo cenacolo. Bibliopatologo? Va’ a lavorare i campi, piuttosto! Trovati un lavoro vero! Altri scrivono cose irriferibili, che meriterebbero di essere analizzate da quei colleghi del dipartimento che si occupano di perlocutoria della scatotecnica (analisi delle formule di insulti) o di sceleropatomittenza (arte dell’inviare qualcuno a morire ammazzato).

Un commentatore indignato e sarcastico, quando questa rubrica era appena nata, senza volerlo colse perfettamente il punto: “Bibliopatologo… Un po’ come soffiatore di minestre, scoppiatore di confezioni delle merendine, dentista delle lumache e parrucchiere per leopardi”. È proprio così, sanculotto mio, vieni a corte che ti offriamo una brioche! Certo, qui si soffia solo su minestre precedentemente tagliate dai docenti di poziosezione, ma si soffia e come!

Come rappresentanti di un’infima branca della patafisica, la scienza delle soluzioni immaginarie delineata da Alfred Jarry, noi bibliopatologi ci teniamo molto alla nostra inesistenza, ne facciamo un punto d’orgoglio. Del resto, che cosa c’è che non sia immaginario, nello stucchevole psicodramma in cartellone da anni, dove in nome del paese reale (entità di finzione, più o meno come il regno del prete Gianni o il paese di Cuccagna) ci si scaglia contro nemici altrettanto fittizi, i cosiddetti radical chic che hanno tempo da perdere con perversioni da tardo impero come la bibliopatologia mentre il popolo ha fame? Ora, dal cielo, Tom Wolfe potrà scagliare maledizioni contro tutti quelli che usano a vanvera la sua formula – e si prevede una strage; noi, in compenso, possiamo invocare la sua angelica protezione e magari anche quella del nostro rettore Umberto Eco, che ha agganci molto in alto (si dice sia intimo di san Tommaso d’Aquino).

Certo, qualche precauzione va presa. Per sfuggire alla censura ecclesiastica alcuni editori cinquecenteschi indicavano Atlantide come luogo di stampa. Stabiliamo lì anche la sede del nostro corso universitario di bibliopatologia, così i sanculotti venuti dal paese reale non sapranno dove trovarci. Sarebbe oltretutto un ottimo espediente di pilocatabasi (arte di scamparsela per un pelo).

Il bibliopatologo risponde è una rubrica di posta sulle perversioni culturali. Se volete sottoporre i vostri casi, scrivete a g.vitiello@internazionale.it.

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