05 aprile 2018 18:06

Un fanta-horror che ha alla base un incubo più che reale, il terrore inconfessabile di ogni genitore, cioè l’impossibilità di proteggere i propri figli da una minaccia mortale. Con in più un risvolto quasi perverso. I mostri che stanno decimando il genere umano nel film scritto e diretto da John Krasinski, A quiet place, sono sensibilissimi al rumore. Basta un piccolo suono e loro arrivano di gran carriera a sbranarti. Lo stesso Krasinski ed Emily Blunt interpretano una coppia con due figli, che cerca di sopravvivere in un ambiente totalmente ostile.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Ma ancora non basta. Krasinski (che nella vita reale è sposato con Emily Blunt, con cui ha due figlie) ha voluto rendere ancora più evidente l’angoscia dei due genitori, non solo attraverso una figlia sorda, che quindi non percepisce i rumori (compresi quelli che provoca), ma anche attraverso la gravidanza della donna. Se si riesce con difficoltà a far vivere nel silenzio due bambini piccoli, con un neonato l’impresa appare disperata.

Krasinski, che è un autore, regista e attore intelligente, gioca con i mostri per raccontare un’ansia che i genitori possono legittimamente nutrire in un paese in cui il loro figlio può essere ucciso con un’arma automatica mentre è a scuola. Ma, come scrive John DeFore sull’Hollywood Reporter, il film è fatto molto bene e darà soddisfazione anche a chi non è disposto ad accettare la metafora.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Dopo due sceneggiature apprezzate come quelle di Sicario e di Hell on High Waters, Taylor Sheridan era molto atteso al suo debutto alla regia. I segreti di Wind River è un dramma ambientato in una riserva indiana, luoghi a sé dove, probabilmente anche a causa del grande rimosso della conquista del west, regole e leggi vanno per conto proprio, e dove, come ricorda il protagonista del film, i nativoamericani sono stati costretti proprio dai conquistatori del west.

Cory (Jeremy Renner) è quello che in una favola si sarebbe definito il guardiacaccia. Conosce alla perfezione i boschi della riserva e collabora con la polizia locale quando bisogna liberarsi di predatori pericolosi come lupi e leoni di montagna. È un uomo bianco, ma come tutti i migliori tracker, è accettato e rispettato nella comunità dei nativi. Quando Cory trova il corpo di una ragazza assiderata in mezzo al nulla, riaffiora con violenza un trauma che ha colpito lui e la sua famiglia. Anche per questo accetta di aiutare la giovane agente dell’Fbi (Elizabeth Olsen) che indaga sulla morte della ragazza.

Jeremy Renner è un attore che mi piace moltissimo, capace di dare profondità e umanità a personaggi come l’artificiere di Hurt locker, il socio di Ben Affleck in The town o Aaron Cross, cioè l’erede di Jason Bourne. Magari ancora non ce l’ha fatta con Occhio di Falco degli Avengers, ma non gli sono state date grandi opportunità. Nel ruolo di Cory è semplicemente perfetto. È con lui che vorremmo attraversare una landa ghiacciata, se mai dovessimo trovarci in una circostanza simile. Il film è ben fatto, Sheridan è attento all’atmosfera e alle psicologie. Ma, come nota Bilge Ebiri sul Village Voice, la trama è un po’ scontata e alla fine I segreti di Wind river è soddisfacente (”un bellissimo episodio di Csi: Wyoming“), ma non indimenticabile.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Nel 2016, con il suo splendido documentario I am not your negro, Raoul Peck ha riportato l’attenzione su James Baldwin, un grande intellettuale statunitense, mostrando quanto siano amaramente attuali le sue riflessioni sulle ingiustizie della società americana. Il documentario prendeva grande forza da immagini di repertorio, più o meno contemporanee, ma soprattutto dalla presenza dello stesso Baldwin, dalla sua voce, dalla lucidità commossa dei suoi interventi. Con estremo candore, il regista di origini haitiane, prova un’operazione simile con un altro intellettuale di un certo spessore: Karl Marx.

Peck, marxista convinto, raccontandoci alcuni anni della giovinezza del filosofo ed economista tedesco, sottolinea come ancora oggi molte cose scritte nel manifesto del partito comunista, pubblicato nel 1848, quando i suoi autori non avevano ancora compiuto trent’anni, non facciano una piega.

Naturalmente la drammatizzazione della stesura di un manifesto politico, trattata con uno stile quasi televisivo, ha i suoi limiti. Come scrive Jacques Mandelbaum su Le Monde, con Il giovane Karl Marx, Peck non fornisce un contributo al cinema paragonabile a quello fornito da Marx al pensiero occidentale. Ma tra i suoi pregi ha proprio il candore con cui mostra l’attualità del marxismo in un prodotto che fa pensare molto a una fiction, a un teleromanzo da prima serata.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Il titolo del film di Francesco Falaschi, Quanto basta, dà un piccolo e parziale indizio di quello che ci aspetta. Lo chef Arturo Cavalieri (Vinicio Marchioni) finisce in carcere a causa del suo brutto carattere. Affidato in prova ai servizi sociali deve dare lezioni di cucina a un gruppo di ragazzi con sindrome di Asperger.

Di fronte alla sua variegata classe lo chef mette subito in chiaro una cosa: “Il mondo ha più bisogno di un perfetto spaghetto al pomodoro che di un branzino al cioccolato”. Filosofia condivisibile che per uno degli allievi, Guido (Luigi Fedele, già apprezzato in Piuma), si trasforma in una specie di dogma. Molto presto diventa chiaro che, come dice anche Francesco Falaschi nell’Anatomia di una scena, il rapporto tra lo chef (neurotonico) e Guido (neurodiverso) è la spina dorsale di Quanto basta.

Il film ha i suoi difetti. Strattoni e forzature fanno traballare la trama che flirta con la popolarità televisiva della cucina, prendendola a tratti di mira, finendo però per appoggiarsi ad alcuni suoi capisaldi (la cucina è un inferno dove bisogna dare il massimo e cose così). È proprio il rapporto tra lo chef e il ragazzo autistico che cresce sostenuto dagli interpreti (compresa Valeria Solarino nei panni della psicologa che media tra i due) a farci passare sopra a tutto per condurci alla benedizione finale di Alessandro Haber.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Su Charley Thompson, di Andrew Haigh, la recensione di Francesco Boille dice tutto quello che c’è da dire. In uscita anche Il mistero di Donald C. di James Marsh, storia vera del britannico Donald Crowhurst, navigatore dilettante che tentò la circumnavigazione del globo in solitaria, con Colin Firth e Rachel Weisz. Infine The constitution del regista croato Rajko Grlić, di cui pubblicheremo l’Anatomia di una scena.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it