L’indelebilità della memoria – individuale e collettiva – è il pilastro centrale di questo romanzo multigenerazionale, dove i personaggi appaiono e scompaiono, per poi riapparire cento pagine e diversi decenni dopo. Le loro vite possono abbracciare epoche e luoghi diversi, ma sono costantemente riportati a una realtà centrale che ruota attorno a Bangkok. In una struttura narrativa vorticosa e sempre sorprendente, Sudbanthad orchestra abilmente l’enorme cast di personaggi. Un missionario dell’ottocento lotta per adattarsi alla vita ai tropici e, in seguito, alla futilità della propria vocazione. Un pianista jazz negli anni settanta è assunto per esibirsi per i fantasmi che infestano la casa di una ricca anziana; suo figlio, Sammy, visita il padre in fin di vita a Londra dopo un’esistenza irrequieta passata fra tanti paesi e tante donne. Una di quelle donne, Nee, fatica a venire a patti con l’omicidio dei suoi amici da parte dei militari a metà degli anni settanta, e si reinventa come allenatrice di nuoto e amministratrice di condominio. Quale filone narrativo esercita l’attrazione maggiore? La resa agile delle numerose voci e dei punti di vista rende difficile preferire un personaggio rispetto agli altri. Ma il romanzo dà il meglio di sé quando si adagia su delicati momenti di intimità.
Tash Aw, The Guardian
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Questo articolo è uscito sul numero 1400 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati