Tra i talenti di Justine Triet c’è quello di dare fin dall’inizio, in modo denso e rapido, anche ricorrendo a trucchi da commedia, uno spessore e un vissuto ai suoi personaggi. Sibyl (Virginie Efira) è una psicanalista con un passato tumultuoso che l’ha spinta verso l’alcol. Ora che è più tranquilla, decide di sospendere il suo lavoro da analista per imbarcarsi nella scrittura di un romanzo. Ma le cose non vanno benissimo. In più una giovane attrice in difficoltà (Adèle Exarchopoulos), con una storia che alla dottoressa suona molto familiare, la supplica di prenderla in cura. Forzando ogni regola etica Sibyl registra le sedute con l’attrice per usarle come materiale per il suo romanzo. Da quel momento in poi la vita di Sibyl comincia a deragliare. Film generoso e sorprendente, Labirinti di donna abbraccia molti temi senza perdersi. Passato, presente, realtà e negazione della realtà, lavoro, famiglia, creazione: tutto è legato e intrecciato in modo intimo. Justine Triet è aiutata nel suo gioco di prestigio da Virginie Efira, capace di mettersi a nudo, di concedersi completamente, con passione, al pubblico, anche più che in Tutti gli uomini di Victoria, film in cui attrice e regista avevano già collaborato. Jacques Morice, Télérama

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Questo articolo è uscito sul numero 1425 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati