Kent Klich è svedese ma vive in Danimarca. Dal 1998 al 2002 è stato un fotografo dell’agenzia Magnum e si è distinto per i progetti a lungo termine in cui ha dimostrato un profondo interesse per le questioni sociali e un’attenta ricerca del modo migliore per raccontare situazioni complesse. Nelle sue immagini non si limita a mostrare empatia per le persone che incontra, ma cerca di esaminare, decostruire e ridare forma alle storie che segue. Poi organizza e prepara i suoi lavori per mostre o libri. Tra i suoi progetti è bene citare prima di tutto Picture imperfect, la storia di Beth, una donna tossicodipendente e costretta dalla famiglia a prostituirsi dall’età di 15 anni. Klich l’ha seguita dal 1983 al 2007. Con Beth è nata una relazione di fiducia e di amicizia che ha permesso a Klich di riflettere anche sul significato della sua fotografia. Il risultato è una serie di appunti in un bianco e nero né enfatico né cinico. Una visione umanista, che contraddistingue tutto il suo percorso. Per esempio nel libro El niño del 1999, sui bambini di strada a Città del Messico o in Children of Ceausescu del 2001, un’immersione negli orfanotrofi in Romania, dov’erano ricoverati i bambini malati di aids. Anche in questo lavoro le immagini hanno la giusta distanza per parlare di una situazione insopportabile. Il suo obiettivo è evitare di aggiungere elementi di drammaticità a una realtà già tragica. E lo fa attraverso un bianco e nero puro, un insieme di grigi su uno sfondo di muri bianchi scrostati, avvelenati, e sguardi difficili da dimenticare.

Gaza photo album del 2009 e Killing time del 2013 sono invece lunghe esplorazioni della situazione in Palestina e in particolare nella Striscia di Gaza, e dei conflitti con Israele. In questi lavori il fotografo ricorre al colore, ma evita sempre la spettacolarizzazione, e integra la fotografia con il video e le immagini d’archivio. Ha raccolto foto di famiglia, ricordi di giorni felici, spezzoni di filmati amatoriali, rendendo concrete e intime delle situazioni che vanno oltre i protagonisti, travolti dalla violenza della storia. Queste immagini, ricche di tensione, spingono Klich a prendere le misure, a definirsi come osservatore, testimone, lettore, analista di uno spazio complesso.

Pni A, 2002-2019

Oggi Klich raccoglie vent’anni di carriera in un libro e una mostra, intitolati ­A tree called home, dedicati a un altro territorio, che richiama quello documentato in Romania dopo la caduta del “genio dei Carpazi”. Su invito di una ong impegnata in un lavoro d’inchiesta, informazione e sensibilizzazione sui manicomi, è andato in Russia e ha fotografato gli pni (istituti neuro­psichiatrici) dove sono tenute le persone con disabilità fisiche o malattie mentali. Nel paese ce ne sono cinquecento, per un totale di 160mila pazienti. Queste persone sono isolate e tenute lontane dal resto della società, sottoposte a pesanti terapie farmacologiche e non hanno nessuna speranza di uscire dagli istituti o di avere un reinserimento sociale. Così Klich ha deciso di raccontare questa situazione all’interno di un paese (la Russia non è l’unico) che evita di affrontarla. Per farlo, ha dovuto chiedere varie autorizzazioni e alla fine si è concentrato su due strutture, che nel libro chiama Pni A e Pni B, documentate tra il 2002 e il 2019. Durante questi anni ha lavorato con attivisti, operatori sociali, ricercatori, medici, sociologi e ha incontrato circa mille pazienti. Oltre a fotografare, Klich ha fatto dei video e ha raccolto foto trovate sul posto, ricordi strappati a vite apparentemente ordinarie. Ha usato il colore e il bianco e nero, combinando ritratti in primo piano, momenti di festa in ospedale, ma anche foto di corpi nudi in camere glaciali. Un caleidoscopio in cui la vita è scossa, frammentaria, impossibile da ricostituire.

I disegni di Aleksej Sakhnov, 2002-2014

Durante il suo lavoro Klich ha stabilito una relazione particolare con uno dei pazienti, Aleksej Sakhnov, di cui ha fotografato le opere di art brut: casette colorate in cartapesta realizzate tra il 2011 e il 2016, e disegni fatti con la penna rossa o il pennarello. Insieme ad alcune immagini scattate in bianco e nero, riflettono il suo punto di vista, la percezione dello spazio in cui è rinchiuso.

Pni A e Pni B, 2002–2019

Gli universi chiusi, come le prigioni o le strutture psichiatriche, sono molto fotografati, spesso con un linguaggio d’impatto, altre volte in maniera troppo semplicistica. La proposta di Klich è l’esatto contrario: siamo in un universo silenzioso, atono, soffocato e soffocante. Le tinte sono dolci non perché l’atmosfera lo sia, ma perché il mondo ha perso i suoi colori. È un mondo lontano dalla sua fisicità, sfuggente, popolato da uomini che non svolgono alcuna attività concreta, che si sottomettono con gentilezza, quasi serenamente, e comunque con distacco, a essere ritratti. Si avverte il loro stordimento, in un universo velato, in un altrove indefinibile. La luce naturale scivola sulle tinte dei muri grigi, verdi, giallastri, che fanno da sfondo ai colori vivaci di un vestito. L’azione è quasi inesistente. Lo scopo è restituire un’atmosfera invece di descrivere o spiegare. Ed è proprio questa complessità che restituisce un’identità alle persone fotografate. Klich è riuscito ad aggirare la negazione dell’individuo imposta dalle istituzioni. Con dolcezza, senza alzare la voce. In apertura del libro e della mostra c’è una citazione del giornalista e militante russo Lev Indolev, che fa risalire le origini degli pni al periodo sovietico e spiega la gerarchia dei pazienti psichiatrici in Russia: al vertice ci sono i soldati rimasti invalidi durante la seconda guerra mondiale; a metà chi è rimasto ferito lavorando per il Kgb o con altri servizi segreti; e in fondo chi è stato ferito sul posto di lavoro o “per mano di altri”, insieme a chi ha malformazioni congenite. Klich dedica il libro e la mostra a questi ultimi, soli nella loro sventura. ◆ adr

Pin A, 2002-2019
Un disegno di Aleksej Sakhnov, 2002-2014

Siamo in un mondo silenzioso, soffocato e soffocante, che ha perso i suoi colori

Pni A e Pni B, 2002–2019
Pni A e Pni B, 2002–2019
Pni B, 2002–2019
Da sapere
La mostra e il libro

◆ La mostra A tree called home di Kent Klich è esposta al festival di fotografia di Landskrona, in Svezia, dal 2 ottobre 2021 al 30 gennaio 2022. Sarà accompagnata da una serie di incontri sul potere e sull’impegno della fotografia, realizzati in collaborazione con il dipartimento di sociologia ­dell’­università di Lund, la fondazione Hasselblad e la partecipazione dello studioso e critico della fotografia Fred Ritchin. Il libro, intitolato come la mostra, è pubblicato da Dogwalk Books.


Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1430 di Internazionale, a pagina 70. Compra questo numero | Abbonati