Questa struggente e caleidoscopica raccolta di esordio di Lejla Kalamujić descrive l’adolescenza di una giovane donna – che si chiama anche lei Lejla – a Sarajevo durante le guerre jugoslave degli anni novanta. Lejla perde la madre a due anni. Cresce con i nonni mentre il padre beve per affogare il suo dolore. Quando scoppia la guerra, Lejla lascia Sarajevo per la campagna, ma poi torna in città per vivere con i genitori di suo padre. Lejla racconta i piaceri e i dolori di un’infanzia senza madre e segnata dalla guerra. Espedienti intelligenti, come uno scambio immaginario con Franz Kafka quattordicenne sui capricci dei “cattivi”, esplorano l’assurdità del conflitto. Una Lejla più anziana lotta con la salute mentale e il suo essere queer. Kalamujić offre immagini memorabili e crea personaggi simpatici con pochi tratti. Il paesaggio emotivo della narratrice e quello del paese sono intimamente connessi e vividamente descritti. Eleganti e vivaci, queste storie rifiutano di crogiolarsi nella tragedia, diventando invece un convincente tributo alle consolazioni fornite dall’arte.

Publishers Weekly

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Questo articolo è uscito sul numero 1445 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati