All’inizio del seicento, nella città tedesca di Leonberg, la vedova analfabeta Katharina fu arrestata per aver avvelenato un compaesano con una pozione demoniaca. Fu imprigionata per più di un anno e minacciata di tortura prima che suo figlio ottenesse il suo rilascio. Conosciamo questi dettagli perché il figlio di Katharina era Johannes Kepler, che mentre difendeva sua madre, stava rivoluzionando la scienza dell’astronomia. Il terrificante calvario di Katharina è ora il soggetto del romanzo di Rivka Galchen. Quel caso di stregoneria è un’occasione irresistibile per riflettere sulla paranoia sociale, le dinamiche familiari e il potere femminile. Non è cambiato molto in quattrocento anni. Le donne – in particolare quelle intelligenti e di carattere – sono ancora bollate come cattive, pericolose e innaturali. Non c’è da stupirsi che in città si siano sollevati contro Katharina. Se fosse stata solo la sua cattiveria, l’avrebbero perdonata. Ma lei aveva anche un perfido senso dell’umorismo. La sua ironia nel liquidare gli accusatori la tenne in piedi ma infiammò i suoi nemici. Il romanzo è una miscela magica di assurdità e brutalità. Galchen ha un senso kafkiano del modo in cui l’esercizio del potere gonfia l’ego e distorce la logica. Il problema, allora come adesso, è epistemologico. “Sappiamo tutti che è una strega”, dice un inquisitore. “Lo abbiamo sempre saputo. La questione di come siamo arrivati a saperlo è semplice: lo sapevamo già”.
Ron Charles,The Washington Post

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Questo articolo è uscito sul numero 1458 di Internazionale, a pagina 98. Compra questo numero | Abbonati