L’affascinante esordio di Mark Haber ha un modello riconoscibile: Thomas Bernhard. L’austriaco scriveva testi brevi ma non concedeva riposo, e Haber si muove con lo stesso flusso incessante. Inoltre, come Bernhard scriveva di vecchie celebrità della cultura come Wittgenstein e Glenn Gould, i protagonisti di Haber sono i fiori di serra dell’Europa orientale all’inizio del novecento. C’è un narratore senza nome, “incantato e stupefatto” dal personaggio del titolo. Jacov Reinhardt ha carisma da vendere – la sua fortuna deriva dal tabacco – e il tipo di nozioni messianiche che guidavano le figure fiammeggianti dell’epoca. Sta componendo un grande Trattato sulla malinconia e nel frattempo detta la sua biografia al suo assistente idiota. Il romanzo è un tumultuoso carnevale di ossessioni. All’inizio, Jacov è alla deriva nella giungla uruguaiana, in cerca dell’uomo che ritiene più vicino alla comprensione della malinconia. Il viaggio genera una suspense continua, e anche se il finale funziona, è il carnevale che lo precede a sostenere davvero il progetto di Haber. Le curve a gomito, le acrobazie maniacali, le migliaia di pagliacci che irrompono dai confini del libro. Questo romanzo può sembrare una novità, ma si legge come una delizia senza tempo, un bel racconto avvincente.
John Domini, Star Tribune

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Questo articolo è uscito sul numero 1463 di Internazionale, a pagina 96. Compra questo numero | Abbonati