Sotto i lineamenti amabili di Virginie Efira si nasconde una donna a cui è difficile dare un nome. I parenti la chiamano Judith, ma a volte si presenta come Margot, che poi è il nome che compare sui documenti. In Svizzera ha una famiglia modesta con Abdel, un corriere, e il figlio di dieci anni. In Francia conduce una vita agiata con Melvil, direttore d’orchestra di successo, e due figli più grandi. Il suo lavoro d’interprete a Ginevra è utile per passare da una vita all’altra. Nasconde a ogni famiglia l’esistenza dell’altra, e soprattutto non si ferma mai da nessuna parte. Ma la sua rete di bugie si sta incrinando. Il regista Antoine Barraud ha in mano molti elementi con cui sviare lo spettatore, ma mantiene invece una linea meno scontata. Il suo non è un film schizofrenico ma è un film sulla schizofrenia. Non si lascia contaminare dall’alienazione della protagonista ma ne espone gli effetti per poi lentamente risalire alle cause.
Mathieu Macheret, Le Monde

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Questo articolo è uscito sul numero 1464 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati