Un mondo luminoso, leggero, popolato da giovani felici con i loro corpi nudi che dialogano con fiori o frutta. È difficile da collocare, ma dai lineamenti delle persone ritratte si può immaginare che sia un paese asiatico. È l’universo di Lin Zhipeng, conosciuto come No. 223, pseudonimo preso in prestito dal nome del poliziotto del film
Chungking express (Hong Kong express) di Wong Kar-wai. Zhipeng non sembrava destinato a fare il fotografo o l’artista: “Ho studiato inglese finanziario, ma mi hanno sempre interessato le arti visive. Dopo la laurea, per sette anni ho fatto il redattore in giornali e riviste. Prima la fotografia era solo un passatempo, ma da quindici anni è il mio unico lavoro. È un mezzo più rapido per comporre il mio diario”.

Le sue immagini – in cui si vedono ragazzi e ragazze alle prese con giochi sessuali, baci con lingue dardeggianti, corpi intrecciati, pelli lisce accostate alle forme sensuali dei fiori – sono il ricordo di momenti condivisi con i suoi amici. “Ho cominciato a fotografare facendo street photography: un vecchio aeroporto, i passanti, i paesaggi urbani. Qualche mese dopo un’amica ha scritto un commento sul mio blog e mi ha chiesto se potevo fotografarla. Dopo averlo fatto ho capito che fotografare il volto e il corpo di un amico era qualcosa di incredibile. Così ho cominciato a fotografare la mia vita e le persone che avevo intorno. È molto importante per me avere una relazione intima con i miei soggetti, così quando tiro fuori la macchina fotografica non si sentono nervosi e non sono sulla difensiva. Durante gli scatti questa è la cosa più importante. Ho la fortuna di avere molti amici interessanti e creativi che sono disposti a farsi fotografare. Viaggio molto, amo la vita e in quello che faccio tutto può diventare oggetto delle mie immagini”.

Cherries on the chair, 2011 (tutte le foto © Lin Zhipeng Aka No. 223 ( per gentile concessione di in), between gallery e Sinibaldi Arles)

La vicinanza con i suoi modelli (che di fatto non sono modelli) è il motivo per cui le immagini appaiono così naturali, senza artificio, senza una vera posa. Si tratta soprattutto di un gioco e la nudità finisce per diventare solo un aspetto secondario. Non abbiamo l’impressione di osservare dei nudi, ma solo dei momenti giocosi che somigliano alla felicità o alla ricerca di un momento di felicità. Questo universo erotizzato si ritrova in migliaia di polaroid, in cui i colori e le forme delicate si accordano alla dolcezza di un mondo irreale. C’è qualcosa di cinematografico. Del resto Lin Zhipeng pensa a un futuro nel cinema: “La mia arte è influenzata dai film. Grazie alla mia esperienza nelle riviste ho letto molte pubblicazioni indipendenti interessanti. Penso che le arti siano collegate: quelle visive, il design, i film, i manga (quando ero all’università adoravo i manga), così come la musica e la letteratura. I miei viaggi mi ispirano tanto. Mi piacciono i film di Wong Kar-wai, ma amo anche le opere di altri registi come Lou Ye, Almodóvar, Kieślowski, Bertolucci e Wim Wenders. Cerco anche di fare qualche cortometraggio. Il cinema è il mio obiettivo finale e voglio lavorarci sempre di più. È un’industria grande e complicata. Non è facile come fotografare. Ora sto facendo dei video artistici”.

Olzha’s cigarettes, dalla serie Grand amour, 2018

Nato nel 1979 nella provincia del Guangdong, Lin Zhipeng si è trasferito a Pechino. Ma continua ad avere una relazione particolare con i suoi luoghi d’origine, che secondo lui lo avvicinano spontaneamente all’universo di Wong Kar-wai: “Il Guangdong si trova nella Cina meridionale. Il suo clima è caldo, umido, appiccicoso, ricorda l’atmosfera dei film girati a Hong Kong. Penso che il colore di Canton (Guangzhou), il capoluogo, sia forte e denso, così come il suo clima. Il tempo passa lentamente e le persone vogliono divertirsi. Mi piace documentare la città con una sorta di diario per immagini. Il mio lavoro è raramente concettuale”. Quello che colpisce di più dell’opera di Zhipeng è l’insieme di immagini che mostrano una gioventù edonista, controcorrente rispetto alla società cinese tradizionale e puritana. Il suo è un mondo ideale, senza freni ma non provocatorio né arrogante, solo felice. Accanto ai giovani ci sono nature morte, a volte ironiche, e poi paesaggi urbani, lampi di luce. Tutto è scattato in pellicola: “Usare la pellicola è solo una ‘cattiva abitudine’. Non mi piace ritoccare le foto e non sono molto bravo con Photoshop. E siccome scatto molte foto non voglio perdere tempo a postprodurle”.

Ming and her lover, 2014 

Per prudenza o per convinzione, Lin Zhipeng non descrive se stesso e i suoi amici come persone che vivono ai margini della società: “Non ho mai collegato le mie opere alla politica. Penso di essere alla ricerca di una sorta di libertà, ma non è la libertà vera. Su Instagram per esempio non si possono pubblicare le foto di nudi con gli organi sessuali in evidenza. La libertà è molto importante per me. Per questo motivo cerco di esprimermi in un contesto preciso, ho scelto i social network per condividere le mie opere invece dei mezzi d’informazione tradizionali. Ho usato il mio blog per costruire la mia webzine personale, perché mi piace condividere quello che faccio. In Cina un blog o un social network sono molto diversi dai mezzi d’informazione tradizionali. Ho più libertà su internet. Ai giovani piace il web perché possono esprimere le loro opinioni”.

Quattro foto tratte dalla serie 123 Polaroids.

È proprio su internet che Lin Zhipeng è stato notato e conosciuto anche all’estero. Dietro queste immagini sensuali di un mondo che sembra cancellare le difficoltà del presente, c’è anche spesso una forma di malinconia e solitudine. Come nella foto in cui un ragazzo a petto nudo con la testa rasata ha un’espressione enigmatica, quasi assente. Sul petto ha il tatuaggio di una farfalla con sopra la frase “Sorry mom”, mentre due mani con le unghie smaltate di rosso vermiglio gli offrono delle sigarette. Questa sensazione di malinconia è ancora più evidente nella foto intitolata Green light, in cui un ragazzo seduto di spalle su un letto davanti a una finestra sembra provare una grande tristezza. Lin Zhipeng, che commenta molto di rado le sue foto, spiega: “È Harlem, il mio ex compagno, in una camera d’albergo in Malaysia. Era la prima volta che partivamo insieme. Ero talmente ossessionato dal suo corpo e dalla sua immagine che volevo fotografarlo in continuazione. Penso che questa foto la dica lunga su questa ossessione”.

White whale, 2016

Lin Zhipeng, che non si considera un artista, vive con malinconia in un mondo sempre aperto al dialogo fisico e visivo con i suoi amici “bizzarri”, e non fa progetti ma fotografa in maniera compulsiva. “Non penso mai al futuro. Continuerò a fotografare finché mi piacerà farlo. Non ho mai creduto di poter essere un artista. Ho solo scelto quello che mi piaceva fare. Non ho alcuna ambizione per la mia arte o per la mia vita. E anche se dovessi stancarmi di fotografare o se le mie foto dovessero diventare noiose, non c’è niente di male. Mi piace seguire i miei pensieri e non mi piace mettere pressione sulla mia vita. Per questo dico sempre che le fotografie raccontano la mia vita e la mia evoluzione. Quando morirò questo diario fotografico si fermerà”. ◆ adr

Ballet girls, 2013
Green light, 2010

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Questo articolo è uscito sul numero 1480 di Internazionale, a pagina 72. Compra questo numero | Abbonati