Quando molti noi sono vittime di circostanze che non riescono a controllare, l’impulso è di sprofondare nell’abisso e urlare al cielo. Molti di noi, però, non sono Neil Young. Anche se gli incendi che hanno distrutto la sua casa nel 2018 non sono stati l’unica fonte d’ispirazione per quest’ultima raccolta di canzoni sull’ambiente, sicuramente sono serviti per canalizzare la rabbia e fornirgli un tema su cui svilupparle. Dopo il successo di Barn del 2021, Young ha scelto ancora i longevi collaboratori Crazy Horse per il quarantaduesimo album della sua carriera. Queste nuove canzoni sono molto varie, ma l’atteggiamento che le accomuna è quello istintivo di entrare in studio senza essere troppo preparati. L’artista canadese è la prova vivente che tutto viene meglio se non è perfezionato. E così World record è piacevole e a volte elettrizzante. E se vuoi avere questa atmosfera un po’ improvvisata, Rick Rubin come produttore è la scelta giusta. È una cosa evidente, a sorpresa, nelle tracce più dense: Break the chain, perno dell’intero disco, e i quindici epici minuti di Chevrolet sono pezzi distorti e gioiosi, e valgono da soli il prezzo del biglietto. E un bene perché altrove, eccetto per le gloriose armonie di Walkin’ on the road (to the future), i toni da vecchio mondo di campagna cominciano a stridere. Se la musica riesce a volte ad essere spontanea, per i testi non funziona così: ci sono momenti in cui Young sembra inventare frasi a caso. A volte brillante, a volte frustrante, grezzo e stucchevole, World record è come l’uomo che l’ha creato: un misto di puro genio e deludenti cilecche.
Barney Harsent, The Arts Desk

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Questo articolo è uscito sul numero 1489 di Internazionale, a pagina 96. Compra questo numero | Abbonati