“Quello che fanno i grandi è permesso. Ma se lo fanno i più piccoli è solo concorrenza sleale e quindi va vietato. È questa più o meno la tendenza che caratterizza i negoziati per l’imposta minima globale sugli utili delle multinazionali, proposta dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) e sottoscritta da 137 paesi”, scrive la Neue Zürcher Zeitung. Per quanto riguarda il cosiddetto primo pilastro dell’imposta, cioè la possibilità di tassare le multinazionali negli stati in cui effettivamente vendono i loro prodotti, non è ancora chiaro se i più grandi tra i paesi firmatari siano a favore e lo metteranno in pratica, come previsto, entro la fine del 2024. Sul secondo pilastro, che introduce un’aliquota minima globale del 15 per cento sui profitti delle multinazionali con ricavi superiori ai 750 milioni di euro all’anno, è stata invece raggiunta l’unità. Tuttavia, spiega il quotidiano svizzero, “le nuove regole prevedono diversi casi in cui possono essere stabilite aliquote più basse a livello nazionale. Per esempio, per le aziende che investono nella ricerca e nello sviluppo. Una formula per la quale si battono i paesi più grandi, tra cui l’intera Unione europea.

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Questo articolo è uscito sul numero 1490 di Internazionale, a pagina 115. Compra questo numero | Abbonati