Tra la seconda e la terza parte del Padrino sono passati quindici anni. E si vedeva. Francis Ford Coppola ha arricchito l’ultimo film della trilogia sia con la sua esperienza di vita sia con quella da regista. Al contrario James Cameron, nei tredici anni tra Avatar e il sequel non ha girato neanche un film e l’unica esperienza suggerita da La via dell’acqua è una vacanza su un’isola remota praticamente introvabile. Nonostante tutta la grandiosità sensoriale e la sua metafora politica il film somiglia a un’escursione irreggimentata in un paradiso naturale esclusivo che i suoi ospiti selezionati vogliono tenersi per sé a tutti i costi. Jake Sully (Sam Worthington) si è trasformato definitivamente in un na’vi, si è stabilito su Pandora, ha sposato la veggente Neytiri (Zoe Saldana), con cui ha avuto vari figli. La coppia ha anche adottato Spider, essere umano purosangue e figlio biologico dell’arcinemico di Jake, il colonnello Miles Quaritch, morto alla fine del primo film, che ora torna nella forma di un na’vi la cui mente è intrisa dei ricordi di Miles. Al suo arrivo il clan Sully fugge dalle foreste di Pandora su un’isola abitata dai metkayina, il popolo della barriera corallina, sempre na’vi ma con una sfumatura verde rispetto a quelle blu dei na’vi che conoscevamo. La regina dei metkayina (Kate Winslet) vede i nuovi arrivati come una minaccia al suo popolo e puntualmente arriva l’incursione degli umani a caccia dei preziosi fluidi corporei di gigantesche creature marine sacre ai metkayina. Il conflitto interstellare per le risorse è la molla di Avatar (di cui è previsto un terzo capitolo nel 2024), mentre l’essenza del sequel è l’ambientazione oceanica. Ma in generale la serie propone una visione del mondo che è un tutt’uno con l’inconsistenza dei suoi eroi. La quasi totale assenza di vita interiore dei personaggi è una caratteristica di entrambi i film. Una terra senza creatività, ispirazioni, desideri è l’apoteosi commerciale usa e getta in cui mistero e meraviglia sono sostituiti da una formula riproducibile all’infinito. Cameron ha creato la sua vacanza cinematografica permanente, un mondo a parte da cui, indisturbato, può vendere un viaggio esclusivo sull’isola paradisiaca dove c’è il re.
Richard Brody, The New Yorker

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1493 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati