Negli ultimi vent’anni le immagini d’archivio, sia di famiglia sia storiche, sono state spesso usate dai fotografi in varie forme. Dall’appropriazione pura e semplice al gioco di specchi tra il passato e il presente, a un trattamento per lo più estetico. I materiali d’archivio sono al centro di tutta l’opera di Amado Alfadni, che li colleziona, li interpreta, fino a trasformarli in qualcos’altro, attribuendogli un nuovo senso e una nuova vita. L’artista, nato al Cairo da genitori sudanesi, si concentra contemporaneamente sulla sua storia e su quella della sua famiglia, sulle relazioni tra l’Egitto e il Sudan, in particolare sul periodo coloniale e postcoloniale tra gli anni cinquanta e settanta, sulla schiavitù (la famiglia paterna era attiva nel commercio di schiavi) e sulle questioni legate all’identità.

“Mio padre, discendente di una famiglia sufi e giovane studente universitario, arrivò al Cairo nel 1951 per studiare all’università Al Azhar”, racconta Alfadni. “Ma abbandonò tutto, comprò un’auto e cominciò a lavorare come tassista nella città di cui si era innamorato. È tornato in Sudan solo una volta, per sposarsi. Mi ha raccontato della sua vita al Cairo negli anni cinquanta e sessanta, dei suoi incontri con le celebrità dell’epoca. Come la volta in cui incontrò Muhammad Nagib, un egiziano-sudanese che nel 1953 diventò il primo presidente dell’Egitto, e che gli trovò lavoro in una compagnia petrolifera. Anche l’odore della nostra casa in Egitto evocava il Sudan, con gli effluvi del profumo Bint el Sudan, una fragranza di essenze tra cui gelsomino, mughetto e muschio mescolate all’incenso. Alcuni ricordi del Sudan erano conservati in una scatola di latta piena di vecchie foto di famiglia. Poi i nostri amici e parenti sudanesi ci portavano burro d’arachidi fatto in casa, spezie e audiocassette di altri familiari”. Alfadni ha incontrato i suoi cugini per la prima volta in occasione di un viaggio in Sudan quando aveva sei anni.

Oltre alla sua famiglia, un’altra grande influenza per lui è stata la scuola egiziana. “È lì che ho scoperto un’altra versione dell’identità nera, diversa da quella che avevo vissuto in famiglia e tra le comunità della diaspora. Nei libri di storia in cui studiavo si dava un’immagine negativa del Sudan, e i mezzi d’informazione costruivano la famosa immagine dell’arabo ‘nero’. Per tanto tempo ho dovuto sopportare questo scontro tra le diverse visioni dell’identità nera e poi ho imparato a capire”.

Askari 1, 2019. Gli ascari erano i soldati africani arruolati nelle truppe coloniali europee.

Così Amado Alfadni ha deciso d’intraprendere una ricerca approfondita sulla rappresentazione e sulla versione ufficiale della storia e le immagini d’archivio. Uno dei suoi primi lavori, intitolato Black ivory, riguarda il battaglione “egiziano” (composto soprattutto da sudanesi) che combatté per i francesi durante il loro secondo intervento in Messico negli anni sessanta dell’ottocento, quando il chedivè (come era chiamato il viceré dell’Egitto durante l’impero ottomano) offrì questi soldati schiavi a Napoleone III.

Miss Khartoum, 2022

Durante una residenza artistica nel sud del Marocco Alfadni si è trovato a percorrere una via carovaniera che portava gli schiavi verso il Nordafrica nel diciannovesimo secolo. È in questa occasione che ha cominciato a riflettere sulle influenze della cultura degli schiavi in quella marocchina. Ha scoperto che “Sudan” non era un cognome insolito in Marocco e che era anche una parola usata nei canti tradizionali degli schiavi del popolo gnawa. Da qui è nato un grande progetto, chiamato Alternative museum of the Sudan (Museo alternativo del Sudan), in cui Alfadni ha studiato le varie identità della regione sudanese, che si estende in Africa centrale, occidentale e subsahariana, così come erano trasmesse dalla propaganda coloniale dell’ottocento e del novecento.

Miss Khartoum, 2022

Alfadni procede sempre nello stesso modo: recupera immagini d’archivio tra fotografie e ritagli di giornale, le cataloga e seleziona quelle che gli sembrano più significative. Poi, interviene con la pittura e ne fa dei monotipi (esemplari unici), sotto forma di stampe ottenute senza incisione.

Askari soldiers of the king’s Africa rifles 2, Africa orientale 1902. Immagine realizzata nel 2020

L’incontro con gli altri

È quello che ha fatto per la sua recente serie Miss Khartoum. Il titolo prende il nome da un concorso di bellezza, “scomparso con l’arabizzazione che dalla metà degli anni novanta ha imposto un’identità monolitica”, spiega il fotografo. Organizzato inizialmente dalla comunità ebraica della capitale sudanese, tra gli anni cinquanta e settanta rappresentava un momento importante nella vita sociale della città.

Miss Khartoum, 2022

Usando materiali d’archivio del periodo postcoloniale, Alfadni ha lavorato su diverse immagini di donne per riflettere sull’evoluzione del loro ruolo nella società. Si è appropriato di queste fotografie intervenendo con il colore in un modo che ricorda quello tradizionale usato nel novecento dagli studi fotografici in Egitto e in gran parte del Nordafrica e di altri paesi africani per i ritratti in bianco e nero. In questo modo il concorso di Miss Khartoum, che è un elemento secondario, quasi un “non evento”, diventa un modo per raccontare un periodo storico, senza creare un effetto nostalgico. Inoltre in questa serie, più che in altre, si percepisce, malgrado la serietà del tema, il piacere dell’artista nel raccogliere i ricordi di questo concorso insolito.

Postcard of the Sudan - Asdf unit affiliate, 1943, Tripoli. L’immagine è stata realizzata nel 2020

La ricerca sugli archivi e sulle informazioni che contengono, al di là dei fatti a cui sono collegati, s’inserisce in una più ampia riflessione di Alfadni sulla sua identità. A cavallo tra Sudan ed Egitto, il fotografo affronta lo sguardo rivolto al “nero” e ne decifra i vari aspetti: “Essere cresciuto nel centro del Cairo, in un contesto cosmopolita, vicino all’università americana, alle scuole francesi e a diverse comunità straniere, mi ha aperto gli occhi su un altro aspetto della mia identità nera, vista attraverso gli incontri con altre comunità nere. La mia comprensione della questione si è ulteriormente ampliata grazie ai programmi americani trasmessi dalla televisione egiziana, che presentavano un’immagine dei neri diversa dagli stereotipi che si ritrovano nelle produzioni egiziane”.

Ace of spades - The unlucky No. 9761, 2017

E con Miss Khartoum per Alfadni l’obiettivo finale è proprio lo stereotipo: “La propaganda coloniale moderna ha contribuito alla formazione di stereotipi sulle comunità nere e sul colore nero, che abbiamo interiorizzato al punto che sono diventati parte del modo in cui vediamo noi stessi”. ◆ adr

Dalla serie Miss Khartoum, 2022
Da sapere
le mostre

Amado Alfadni è nato al Cairo, in Egitto, nel 1976 da genitori sudanesi. Nel 2022 le sue opere sono state esposte alla galleria di arte contemporanea Karim Francis del Cairo nella mostra What I see from here e alla galleria Sulger-Buel di Londra, nel Regno Unito, nella mostra Alternative museum of the Sudan.


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Questo articolo è uscito sul numero 1496 di Internazionale, a pagina 64. Compra questo numero | Abbonati