Pilar Quintana (Eva Marie Uzacategui, Afp/Getty)

I matrimoni, i tradimenti e le disillusioni vissute dalle donne nel sesto romanzo della scrittrice colombiana Pilar Quintana potrebbero facilmente far parte di una telenovela degli anni ottanta. Nelle sue mani, invece, danno forma a una trama familiare contemporanea. La storia esplora innanzitutto l’immaginario dell’amore romantico per svelare, sullo sfondo, gli spazi d’ombra del desiderio e della maternità. Da subito il romanzo presenta la casa come un luogo pericoloso. “Nell’appartamento c’erano così tante piante che lo chiamavamo la giungla”, dice Claudia, una bambina di otto anni che descrive il suo mondo quotidiano. Con uno sguardo tenero quanto sincero, segue con preoccupazione la vita di sua madre, una donna che passa le sue giornate a letto. La bambina cerca di raggiungerla e di tirarle su il morale, ma la madre – come una madame Bovary – alimenta il suo vuoto con le storie lette sulle riviste, le vite di donne come Grace Kelly e Karen Carpenter, morte tragicamente. Sono l’unico argomento di cui parla con la figlia. La maternità appare oscillante tra stanchezza e depressione, ritratta dall’aspettativa di una figlia che desidera un legame impossibile. Il modo in cui la scrittura dell’autrice colombiana cattura il mondo interiore dei protagonisti è interessante: le piante, le scogliere, la fitta nebbia parlano delle loro emozioni. I personaggi non raggiungono la stessa profondità. A volte non riescono a rompere il guscio del luogo comune. L’innocente sagacia della protagonista individua con freschezza i segni visibili della crisi dei suoi genitori. Quintana ha già affrontato il tema della maternità nel suo romanzo più noto, La cagna (Baldini+Castoldi) ma qui la scelta del punto di vista di una bambina le permette di mostrare i due lati di questo legame con una sensibilità diversa. Da una parte è rivelato il peso dell’eredità da donna a donna e dall’altra, la solitudine dei personaggi. Un dettaglio: madre e figlia hanno lo stesso nome, segno inequivocabile del loro destino comune. Man mano che Gli abissi procede, con un crescendo di violenza, gli imperativi della bellezza, dell’apparenza e della tradizione troncano l’esistenza di queste vite così vicine: il vuoto si apre nel romanzo di Quintana come una terrificante, ma anche allettante via d’uscita. Verónica Boix, La Nación

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Questo articolo è uscito sul numero 1515 di Internazionale, a pagina 89. Compra questo numero | Abbonati