C’è qualcosa di affascinante nella carriera dei Foo Fighters. Parliamo di una band che fa rock radiofonico di discreta qualità, che ha fatto le cose migliori almeno una decina di anni fa ma riesce ancora ad affascinare diverse persone. Ci sono molti motivi: Dave Grohl sembra un tipo in gamba, ha ancora un po’ di credito per aver fatto parte dei Nirvana, e Wasting light del 2011 faceva pensare a un rinascimento nelle fortune in calo del gruppo, anche se i dischi successivi erano mediocri. La morte del batterista Taylor Hawkins, avvenuta nel marzo 2022, è onnipresente nelle canzoni di But here we are. I testi dei Foo Figh­ters non sono mai stati particolarmente complessi, e le cose non sono cambiate: Under you contiene versi come “qualcuno ha detto che non ti rivedrò mai più”, un cliché stucchevole ma perdonabile, perché sincero. Ci sono anche brani esaltanti in questo disco, come i due pezzi di chiusura The teacher e Rest, che segnano un allontanamento dalla formula distintiva della band. Anche se i Foo Fighters non reinventano la ruota, But here we are a tratti provoca più emozioni rispetto ai dischi del loro passato recente.
Sunnyvale, Sputnikmusic

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Questo articolo è uscito sul numero 1515 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati