La nuova me è un romanzo deprimente. Parla di una donna depressa di nome Millie, che ha un deprimente lavoro temporaneo e che precipita in una depressione ancora più grande alla prospettiva che possa diventare fisso. È anche tristemente divertente. L’ambientazione d’ufficio potrebbe essere considerata coraggiosa per un romanziere: la maggior parte dei lavori sono noiosi, lamentarsi di quanto lo siano può esserlo ancora di più. Butler lo dipinge come una sorta di morte spirituale: “Mi siedo alla mia scrivania e raccolgo lentamente i soldi che posso usare per pagare l’affitto del mio appartamento e il cibo in modo da poter continuare a vivere e continuare a venire in questa stanza e sedermi a questa scrivania”. I suoi meccanismi di sopravvivenza sono l’alcol, il binge-watching di crime show, l’umorismo e una deliziosa perfidia. Millie appartiene alla scuola consolidata dell’antieroina privilegiata. I genitori le pagano l’appartamento e lei è terribilmente snob. Quel luogo di tensione tra le aspettative del privilegio e la realtà incolore della vita nel terziario avanzato è un territorio fertile per la commedia. Il capitalismo fa sì che le persone si comportino in modo odioso e che l’ufficio diventi lo sfondo di piccoli atti di psicopatia, vendetta e narcisismo. È l’unica realtà che conosciamo. E questo è un pensiero deprimente.
Rhiannon Lucy Cosslett, The Guardian

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Questo articolo è uscito sul numero 1519 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati