Un’avvertenza. Ci sono film – la maggioranza – che dopo una buona prima impressione, cominciano a svanire inesorabilmente appena lasciato il cinema. Poi ce ne sono altri – pochissimi – che da subito colpiscono come un fulmine e lasciano cicatrici permanenti, spostando per sempre il paradigma di visione. Il magistrale e agghiacciante La zona d’interesse, per me, fa parte della seconda categoria. Come concorderanno molti appassionati di cinema, l’esperienza rara fornita da questo tipo di pellicole è amplificata dal senso di scoperta che si ha quando non si sa niente del film che siamo andati a vedere. Quindi: i lettori che vogliono rimanere nella posizione privilegiata di non sapere nulla del film di Jonathan Glazer, possono tranquillamente mettere da parte questa recensione. Ma andiamo avanti. Probabilmente descrivere La zona d’interesse come un adattamento dell’omonimo romanzo di Martin Amis è fuorviante. In effetti il film è un’entità non convenzionale a sé, che con il libro di Amis condivide il titolo e il luogo di ambientazione: Auschwitz. O meglio la casa di un nazista di alto rango appena fuori dal muro di cinta del campo di sterminio. Rudolf Höss (Christian Friedel), sua moglie Hedwig (Sandra Hüller) e i loro cinque figli si godono sani e felici picnic in riva al fiume o idilliache giornate nel rigoglioso giardino della loro villa. Non vediamo mai oltre le mura che separano le amate rose di Hedwig dalla fabbrica di morte. Attraverso l’incredibile e coinvolgente sonoro curato da Johnnie Burn il rumore ambientale evoca gli orrori che avvengono all’interno del campo con un’intensità soffocante, così come sembra soffocante la cappa di fumo che si alza dai camini delle fornaci. A completare il corredo sonoro Glazer ritrova la compositrice Mica Levi, che con la sua colonna sonora accompagna inquietanti immagini notturne che ci fanno uscire dall’inconsapevolezza della famiglia Höss. Un’infinità di dettagli narrativi (per esempio il modo in cui il “lavoro” del padre influenza i giochi dei figli) completano il senso di terrore che permea l’intero film. Poco appariscenti ma impeccabili i due interpreti principali.
Wendy Ide, The Observer

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Questo articolo è uscito sul numero 1551 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati