Con un intento politico, l’esordio di Felipe Gálvez Haberle racconta come il Cile, molto dopo le barbarie dei conquistadores, sia stato costruito sulla violenza e sul sistematico massacro degli indigeni. In questo caso dei selknam, nella Terra del Fuoco dove in nome del proprietario terriero José Menéndez (i cui discendenti ancora possiedono una buona parte della Patagonia, cilena e argentina) furono compiute espoliazioni ed espropriazioni. Di fronte all’onnipotente imperturbabilità di Menéndez (un Alfredo Castro imperiale) si dispiega per contrasto un’evocazione di rara violenza. Tra iperrealismo e allegoria seguiamo le sanguinose avventure di un male assortito trio di cavalieri – un militare britannico, un cow boy statunitense e un indigeno collaborazionista – che hanno il ruolo di demoni sterminatori. Formalmente brillante, il racconto trova equilibrio in un epilogo più sobrio.
Thierry Méranger, Cahiers du Cinéma

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Questo articolo è uscito sul numero 1553 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati