Quando il narratore del nuovo libro di Tony Burgess si sorprende per la fuga del giovane Idaho Winter, io sono molto meno stupito. “Potreste pensare che scappare di casa sia normale, che sia perfino giustificabile”, dice il narratore. “Il fatto che scappi è strano per questa semplice ragione: non è parte della storia che stavo raccontando”. È il primo giorno di scuola e Idaho Winter, detto poco affettuosamente Patata, viene inseguito e picchiato così forte da non riuscire neanche ad arrivare in classe. A casa il suo letto è uno scatolone riempito di carta di giornale e stracci. Suo padre, Early Winter, gli fa trovare la colazione dei campioni: un procione morto stecchito. Madison è l’unica ragazzina in città che vorrebbe essere sua amica, tutti hanno deciso di detestarlo e tutti accettano che lui subisca odio e crudeltà terribili. Lo stesso narratore ammette di avere poca simpatia per lui e a meno che voi e io, i lettori, non interveniamo in sua difesa, il destino di Idaho è segnato. Ma alla fine è Idaho stesso che interviene scatenando il caos, attirando il narratore dentro una storia che non riesce più a controllare. Improvvismente nella vicenda irrompono mamme-pipistrello succhiasangue, dinosauri e Billie Joe dei Green Day. Idaho Winter è allo stesso tempo assurdo e accettabile, la sua prosa è piacevole e fastidiosa: ci sono due finali nel romanzo, e solo Idaho sa come andrà a finire.
Brooke Ford, The Globe and Mail

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Questo articolo è uscito sul numero 1560 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati