Nel 1998 Niccolò Fabi partecipò a Sanremo con Lasciarsi un giorno a Roma. Il pezzo non vinse ma, con quella progressione ritmica che pareva inseguire e ingoiarsi le parole prima di concedersi uno sfogo che non riparava proprio niente, è l’unica canzone che ricordo di quell’anno. Non l’ho consumata in fasi di crisi in una relazione, ma l’ho condivisa con un’amica a vent’anni, in una stanza al buio, in una città di cui ora mi sfugge il nome.

Eravamo alla fine del viaggio, sedute su sedie opposte, e abbiamo cominciato a recitarla a turno. Non sapevamo che la frase “fai finta che è normale, non riuscire a stare più con me, cerca un modo per difenderti, una ragione per pensare a te” ci sarebbe stata ripetuta allo sfinimento, con piccole varianti: da altri amici, da professionisti della salute mentale, e non sapevamo che in quella stanza stavamo cercando di lasciare chi eravamo state fino a quel punto, di capire chi è Euridice senza Orfeo.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Qualche giorno fa Niccolò Fabi ha pubblicato un nuovo singolo intitolato Andare oltre, che ricorda molto Lasciarsi un giorno a Roma, però senza quella progressione ritmica. Anche stavolta parla di separazione, e ammette le proprie malinconiche virtù: “E io intanto sono già al di là del ponte, la mia condanna, lo sai, è andare oltre, andare oltre”. È inevitabile mettere in cortocircuito le due canzoni. Qualcuno avrà imparato a separarsi da sé innanzitutto, qualcuno no. Anche stavolta, ed è questo il senso ipnotico e triste di entrambe le canzoni, non è dato sapere cosa è successo davvero all’altra persona. ◆

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1477 di Internazionale, a pagina 96. Compra questo numero | Abbonati