È appena uscita una raccolta di saggi curata dalla ricercatrice Maria Teresa Soldani e dedicata alle vite possibili di una canzone. Ci sono brani che nascono già amplificati, con dentro un’idea di cinema, letteratura o di piazza, canzoni capaci di anticipare la rivolta che faranno in qualche modo scoppiare o si predispongono a essere adottate da una curva allo stadio, magari facendo dei passaggi veloci attraverso lingue e fasce popolari diverse.

La raccolta s’intitola Itinerari della canzone tra i media. Immaginari, narrazioni, trasmissioni (NeoClassica, 2023) e quando mi è stato chiesto di dare un contributo ho pensato al titolo di questa rubrica. All’inizio avrei voluto chiamarla Radioclima o Segnali di vita. C’era l’idea che lo spazio della rubrica dovesse veicolare soprattutto una sensazione o un’atmosfera.

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Poi dopo un confronto redazionale è emerso il tema del formato e la rinnovata importanza che sta vivendo la canzone. Per gli imprevedibili avvitamenti di cui parla anche questa raccolta, siamo tornati quasi in una dimensione da discografia anni cinquanta, in cui la vita di un artista era fatta solo dai singoli, e pare che l’attenzione caricata dentro una canzone sia funzionale a renderla pesante ed elastica allo stesso tempo, in grado di trasmettersi ovunque ma allo stesso tempo di diventare indimenticabile, di segnare un cambiamento anche senza la cornice di un album.

Come spiega il libro, il gioco delle cento vite in corpi diversi riesce a Love will tear us apart dei Joy Division o a Tran tran di Sfera Ebbasta, ed è molto affascinante scoprire perché. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1500 di Internazionale, a pagina 96. Compra questo numero | Abbonati