Difficile citare gli Arcade Fire di questi tempi, sia per la tiepidezza del loro lavoro sia per le accuse di molestie contro il cantante Win Butler, e non voglio sciupare un disco magnetico come l’esordio di Daniela Pes con interferenze disturbanti. Però ai loro tempi d’oro gli Arcade Fire cantavano Speaking in tongues con David Byrne e dicevano: “Now I can’t understand a word / Now you’re speaking in tongues / Come out of your head / And into my world now”.

Valga come descrittore per cosa si prova ascoltando SPIRA di Daniela Pes, il miglior debutto italiano del 2023, dove l’inintelligibilità delle parole diventa lo strumento necessario per accedere a nuove possibilità del linguaggio.

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Forse ho capito male, e sono felice di averlo fatto: nel mio errore, ho dato alla creatura di fronte a me la libertà di essere ambigua e magnificata rispetto alle sue intenzioni. Le canzoni di SPIRA sono appunto creature ambigue, che in una sinestesia di riferimenti involontari possono far pensare agli slanci “imperdonabili” della scrittrice lirica Cristina Campo quanto ai primi flamenchi intimi e nudi di Rosalía, su basi strumentali che somigliano ai tappeti erbosi in cima alle costiere durante l’inverno, quando l’esaltazione può condurre a un salto nell’abisso. Si sente la produzione di Iosonouncane e l’assorbimento del lavoro messo a punto con IRA, ma si sente soprattutto lei, Daniela Pes, con una voce personale che sa intrappolare sussurri, false preghiere e dediche con dei referenti forse interstellari (Arca). Un lavoro contenuto e coerente, pieno d’idee, che fa salire l’ansia e la magia nella stessa imprevedibile botta. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1510 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati