Ascoltando Idiom, l’album di esordio di Trust The Mask uscito per Bronson Recordings, mi vengono in mente le proprietà dell’interlingua, l’idioma artificiale che nasce dagli elementi condivisi da una serie di lingue europee in modo da risultare comprensibile a un ampio numero di parlanti.

Esiste certamente un modo di pronunciare l’inglese che risulta artificiale in quella lingua e naturale in tante altre, e nasce sulla semplice base dei suoni. Non ha nulla a che vedere con il “maccheronico”: non è un suono che risulta dalla non conoscenza di qualcosa, quanto dal suo superamento per arrivare il più lontano possibile.

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Forse è un approccio fin troppo concettuale per raccontare il primo disco di Elisa Dal Bianco e Vittoria Cavedon, le due artiste dietro al progetto, ma è il titolo stesso a suggerire un’esperienza che tocca la comprensione e la connessione tra esseri umani. Qualcosa nei loro accenti fa sì che quello che cantano sia accessibile anche a chi non riesce a seguire testi attraverso un’acquisizione immediata della lingua, un’artificialità calda che si riflette nei suoni delle dodici tracce dell’album e produce un languore pieno di dolcezza, malinconia e possibilità (basta sentire Loaded gun , scritta insieme a R.Y.F., che è sempre una garanzia).

In Idiom ci sono echi di Florence Welch, di Romy, dei Dirty Projectors con meno sovrastrutture e soprattutto c’è la presenza di Matteo Vallicelli/The Soft Moon e di Cemento Atlantico, che cesellano un disco personale e presente, capace di creare intimità nel suo leggero straniamento, fatto di parole accessibili e pure. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1518 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati