Gli accordi per la fornitura di energia nucleare annunciati negli ultimi mesi da aziende tecnologiche come Amazon, Microsoft e Google hanno fatto notizia in tutto il mondo. Ma alcune imprese, tra cui la Meta e Google, stanno investendo anche in un’altra fonte a basse emissioni: l’energia geotermica di ultima generazione. Questa tecnologia potrebbe presto ottenere un vasto successo commerciale, dice Lauren Boyd, a capo dell’ufficio per le tecnologie geotermiche del dipartimento dell’energia degli Stati Uniti.

Il 17 ottobre la Fervo Energy ha ricevuto dal governo statunitense il via libera per ampliare la centrale geotermica in costruzione nella contea di Beaver, nello Utah, che potrebbe arrivare a produrre 2.000 megawatt, paragonabili alla capacità di due grandi reattori nucleari. Anche se per arrivarci ci vorrà un po’, ha già una capacità di 400 megawatt ed entro il 2028 potrà fornire energia 24 ore su 24 agli insaziabili centri dati di Google e di altri clienti. Ad agosto la Sage Geosystems ha annunciato una collaborazione con la Meta, che controlla Facebook, per fornire fino a 150 megawatt di energia geotermica ai suoi centri dati entro il 2027.

Chiara Dattola

A differenza dell’energia geotermica tradizionale, in uso da quasi un secolo, gli impianti di ultima generazione non si basano sulle sorgenti di calore naturali, ma ne creano di nuove. Il procedimento prevede di scavare un pozzo profondo chilometri, dove le rocce hanno una temperatura di circa 200 gradi, e iniettare acqua e sabbia ad alta pressione. Le fratture così provocate rendono le rocce più permeabili. Si forma quindi un serbatoio di acqua riscaldata che può essere estratta da un secondo pozzo e usata per generare elettricità.

I cosiddetti sistemi geotermici potenziati (Egs) sono allo studio dagli anni settanta, ma quasi nessun tentativo è riuscito a produrre quantità significative di energia. I progressi fatti negli ultimi anni sono dovuti all’adozione di tecniche usate nell’estrazione del petrolio e del gas, compresi metodi migliori per spaccare le rocce e trivellare in orizzontale. Boyd ha partecipato allo Utah Forge, un progetto del dipartimento dell’energia che ha introdotto varie innovazioni e ha quasi dimezzato il costo delle trivellazioni, afferma.

La trivellazione orizzontale è stata importantissima per il successo degli Egs, spiega Joseph Moore, geologo dell’università dello Utah a Salt Lake City a capo dello Utah Forge, perché la fratturazione idraulica (fracking) crea spaccature verticali. I pozzi orizzontali attraversano molte fratture e sfruttano un enorme volume di roccia, spiega.

Anche se lo Utah Forge ha ampliato le possibilità degli Egs, l’impianto della Fervo nello Utah, non distante da lì, e altri due progetti pilota hanno dimostrato che questa tecnologia funziona anche con strumenti già esistenti, dice Emma McConville della Fervo.

Secondo i dirigenti del settore, la manodopera specializzata nelle trivellazioni per l’estrazione di petrolio e gas è una risorsa facilmente reperibile che aiuterà le aziende a crescere in fretta. Anche le attrezzature coincidono: le torri di perforazione alte trenta metri necessarie a scavare i pozzi sono le stesse usate per estrarre idrocarburi, dice McConville. “Fare in modo che continuino a funzionare per produrre energia a basse emissioni è uno degli aspetti che preferisco”.

Rischio sismico

Lo sviluppo degli Egs è stato in parte frenato perché il fracking può causare terremoti. Alcuni impianti, tra cui uno in Svizzera e uno in Corea del Sud, sono stati chiusi perché la tecnica è stata collegata a una considerevole attività sismica.

Lo Utah Forge, la Fervo e altre aziende sorvegliano costantemente i propri siti con i sismografi. “Se superiamo una certa soglia ci fermiamo”, dice McConville. Di solito le scosse causate dal fracking sono state di magnitudo inferiore a due, aggiunge. “Se non trivelliamo faglie che possono muoversi, non dovremmo causare eventi percepibili”, spiega Moore.

Un’altra azienda ha adottato un metodo ancora meno rischioso. La canadese Eavor ha sviluppato un complesso sistema a guida magnetica in cui le teste delle trivelle dei due pozzi si guidano a vicenda formando circuiti chiusi sotterranei. “Il vantaggio è che possiamo fare a meno del fracking”, spiega il direttore tecnico Matt Toews.

In un impianto della Eavor ogni pozzo si dirama in orizzontale in una rete di tubi paralleli che si ricongiungono nell’altro pozzo. L’acqua non entra in contatto diretto con la roccia, ma assorbe il calore attraverso il rivestimento dei tubi. L’azienda sta costruendo il suo primo impianto in Germania, e nel 2025 dovrebbe cominciare a sfruttare l’acqua alla temperatura di 160 gradi che si trova a quattro chilometri e mezzo di profondità. L’impianto fornirà soprattutto il riscaldamento alle case della città vicina, ma produrrà anche circa otto megawatt di elettricità.

Trivellazioni così profonde sono molto care e ogni pozzo può arrivare a costare milioni. Anche se in futuro i costi dovrebbero scendere, il geotermico di ultima generazione sarà comunque più caro di molte altre forme di energia. Essendo sempre disponibile, però, potrebbe affiancare le fonti rinnovabili che sono per natura intermittenti, come il solare e l’eolico. “Rientra in una nicchia in cui ci sono poche alternative”, dice Wilson Ricks, ricercatore dell’università di Princeton. I principali concorrenti sarebbero quindi altre fonti d’energia costose come nucleare, biomasse e idrogeno.

Il destino del geotermico dipende in gran parte dalla geografia. Di norma più a fondo di scava e più calda è la roccia, ma a causa dei capricci della geologia la profondità a cui le rocce raggiungono temperature abbastanza alte da consentire la produzione di elettricità varia moltissimo. Nelle zone dove ci sono vulcani attivi o dove la crosta è più sottile le alte temperature sono più vicine alla superficie.

In uno studio pubblicato a gennaio del 2024 su Nature Energy, Ricks e i suoi collaboratori, tra cui il cofondatore della Fervo Jack Norbeck, hanno scoperto che il geotermico potrebbe essere più economico del nucleare in gran parte degli Stati Uniti occidentali. A patto, però, che gli stabilimenti possano aumentare e ridurre la produzione in base alle oscillazioni della domanda. Dimostrare che questo sia possibile senza logorare eccessivamente gli impianti sarà una grossa sfida per le prossime centrali. ◆ sdf

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Questo articolo è uscito sul numero 1590 di Internazionale, a pagina 109. Compra questo numero | Abbonati